Pisa – L’Apes ha reso noto che
entro il 16 maggio le famiglie indigenti potranno fare domanda per entrare in
case sociali (32 in
tutto) al Cep. Le case saranno cedute con affitto concordato e per 50 anni
saranno di proprietà dell’azienda pisana per l’edilizia pubblica. In più
saranno costruiti e venduti 5 fondi commerciali e 5 alloggi. Sono previsti più
o meno 100 posti letto suddiviso tra gli appartamenti. Per l’operazione sono
richiesti quasi 5 milioni di euro, di cui più di 3 milioni provenienti dal ministero
e 1 milione e mezzo da un mutuo e dalle vendite dei fondi.
Possono fare richiesta cittadini
italiani, comunitari o extracomunitari, avere un reddito convenzionale non
inferiore ai 14.120 euro e non superiore ai 38 mila euro,non avere proprietà,
usufrutto o uso di alloggio alle proprie esigenze familiari nel comune il cui
valore catastale sia uguale o superiore a quello di riferimento della regione
Toscana, non essere più di cinque, risiedere o lavorare nel comune, non avere
avuto precedenti assegnazioni di alloggi realizzati con contributi pubblici o
statali.
L’amministrazione comunale
continua a non guardare in faccia la realtà. Dinnanzi ad un bisogno forte e
diffuso, si nasconde dietro la costruzione di 32 alloggi sociali. Meglio di
niente, ma comunque insufficiente. Se si calcola il patrimonio immobiliare
della città, e la relativa domanda di alloggio sociale, ci rendiamo conto di
come sia inadeguata la risposta delle istituzioni. Solo con gli alloggi degli
enti pubblici (vedi università, Comune, Apes, Inps, Inail, telecom etc…) si
sarebbe superata la soglia dei 31 proposti da Comune e Apes. Se a questi si
aggiungessero i 400 appartamenti sfitti, l’ExEnel di Ricucci o palazzo Pampana la
situazione migliorerebbe di sicuro e non solo per la prima pagina del Tirreno. La legge
permetterebbe la requisizione, strumento a termine utilizzabile solo nel caso di necessità. Il
bisogno di casa non è una necessità? Andrebbe chiesto all’esercito di
lavoratori e lavoratrici precarie che non possono comprarsi nemmeno un
televisore a rate. La cultura del debito, peraltro, non è sicuramente
“socialmente” proponibile.
Il comune intervenga per
garantire a tutt* gli aventi diritto un alloggio. Gli strumenti non gli
mancano.