I Berti-boys sull’orlo del baratro

Cascasse il
mondo, a fine giornata c’era la playstation. In quella casa al quarto piano di
via Farini, dietro piazza Vittorio, che i Giovani comunisti continuano a
passarsi di generazione in generazione. I trentenni bertinottiani che ora
rischiano di essere le prime vittime sacrificali della catarsi interna a
Rifondazione, si vedevano tutti là, per impazzire di joystick fino a
nottefonda. Nel 2004, quando il più bravo di tutti, Nicola Fratoianni, è stato
nominato segretario della Puglia, l’appuntamento s’è perso.

Ma il gruppo, quello no, è rimasto compatto, più che una
fronda politica un clan che negli ultimi sette anni ha bruciato tutte le tappe,
passando dal movimento no global alla gestione del partito. Quelli della
passione per l’arte contemporanea e la musica classica,
dell’«antiproibizionismo». Quelli che hanno condiviso praticamente tutto,
stessi amori (a fasi alterne, ovviamente), stesso abbigliamento pariolfreak e
persino il vezzo di comprare le cravatte da Bomba, costoso e bel negozio del
centro di Roma, fra i prediletti del capo, Bertinotti. Ora, con un pezzo di
partito in rivolta e molti dirigenti che premono per andare alla conta,
rischiano tutto, dopo aver già alcuni posti sicuri in parlamento: «Non sono
convinto che prendere i cocci di quel che è successo e tirarceli l’uno contro
l’altro sia una soluzione, la verità è che siamo tutti dentro una sconfitta
colossale – spiega proprio Fratoianni – Spero che il Cpn sia un luogo in cui
discutere insieme di una sconfitta colossale, capire dove si riparte per un
progetto di lavoro aperto».

Tra loro e Fausto c’è sempre stato un legame speciale. Il
primo segretario dei giovani comunisti, Gennaro Migliore, nominato a metà degli
anni ’90, fino a ieri era il capogruppo di una delegazione di quaranta deputati
alla camera. Un bel salto, per un dirigente nato nel 1969, tra i più giovani
deputati del parlamento italiano. E la chiave era soprattutto in quel abbraccio
tra i giovani e il segretario, rimasto solido col passare degli anni e delle
svolte politiche.

All’epoca del legame col «movimento dei movimenti», fino al
g8 di Genova, il rapporto tra Rifondazione e no global passava attraverso i
Giovani comunisti, che indossavano la tuta bianca e condividevano pane e companatico
con Casarini ed i suoi, stessa età, stessa origine nei movimenti universitari
dei primi anni ’90, stessa fascinazione per le teorie di Toni Negri. Poi, dopo
Firenze (2002) e la manifestazione contro la guerra a Roma (2003), Fausto
Bertinotti decide di rompere con le teorie negriane e sposare la «non
violenza». I Giovani comunisti seguono compatti e la rottura viene siglata poco
prima della svolta «governista» del congresso di Venezia.

Il gruppo dei giovani, scala a grandi balzi il cursus honorum
della carriera nel partito. Il segretario dei giovani comunisti che succede a
Gennaro Migliore, Peppe De Cristofaro, è stato deputato fino all’altro ieri ed
è segretario regionale della Campania. Fratoianni, oggi è il leader indiscusso
in Puglia e avrebbe dovuto essere candidato sicuro alla Camera. E Michele De
Palma è nella segreteria del partito insieme a Daniela Santroni e Fabio Amato.
Persino il tesoriere del partito, Sergio Boccadutri, viene dal clan della
playstation.

Ora che Bertinotti dice addio, sono in molti a pensare che
debbano cadere dalla torre con lui: «Hanno una responsabilità gravissima per
quello che è successo», attacca Ramon Mantovani, tra i più agguerriti
antibertinottiani: «La loro carriera politica è stata stroncata in giovane età.
Sono stati i fanatici del processo che ha portato a questo risultato politico.
Non gli piaceva questo partito, pensavano che Rifondazione fosse un ferro
vecchio da lasciare in soffitta».

La guerra è aperta. Molto, peseranno le scelte di Nichi
Vendola, leader naturale della Sinistra arcobaleno che avrebbe potuto guidare
la scorsa campagna elettorale e che col suo carisma potrebbe essere decisivo
nella discussione del partito. Quel che farà, quanto aspetterà, non è ancora
chiaro. Nicola Fratoianni, però, respinge l’accusa di aver abbandonato il
movimento: «E’ vero, eravamo nelle istituzioni. Ma è anche vero che erano i
deputati del Prc quelli che si presentavano di notte davanti ai Cpt se c’era
qualche problema e che mediavano con la polizia nelle manifestazioni. Senza
questo cuscinetto, gli spazi saranno ancora più ristretti».

 

Sara Menafra
(da Il Manifesto)

sensasoste 

16 aprile 2008 

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