Migrante muore nel nuovo Cpt di Torino

TORINO – Per indicare il punto esatto in cui è successo, i ragazzi
magrebini dietro alle sbarre dicono: "Zona rossa, cella numero 2". Lì, ieri mattina alle 8, è
stato trovato morto Hassan Nejl, nato a Casablanca il 27 marzo 1970, trattenuto
da dieci giorni al Cpt con un decreto di espulsione firmato dal questore di
Padova.

"Era nel suo letto con la
schiuma alla bocca – raccontano – abbiamo urlato tutta la notte per chiamare i
soccorsi, ma non è venuto nessuno. L’hanno trattato come un cane".
Di sicuro non poteva esserci inaugurazione più tragica per il nuovo Centro di
permanenza temporanea di Torino. Costato 12 milioni di euro per la prima metà
dei lavori, in muratura, più civile e più sicuro, nelle intenzioni della
Prefettura, era entrato in funzione in gran segreto lunedì mattina. Doveva
essere un periodo di rodaggio.

Sessanta persone trattenute, che
diventeranno 130 a lavori ultimati.
Il prefetto Paolo Padoin è stato avvisato quasi subito: "I primi riscontri
hanno stabilito che quel ragazzo è morto per una malattia – spiega – forse una
polmonite. So che era stato visitato da un medico della Croce Rossa nel primo
pomeriggio di venerdì. Se ci fossero state davvero delle omissioni di soccorso
durante la notte, ma è un fatto ancora tutto da accertare, toccherà alla
magistratura chiarire eventuali responsabilità". E’ già stata disposta
l’autopsia.

Ora al Cpt non ci sono più i vecchi container di lamiera. Le gabbie che
delimitano le varie zone sono nuove ma altrettanto alte. Hassan Nejl è morto in
una camerata da sei posti, appena dipinta di giallo, con due bagni e una
doccia. Vicino a lui, fino all’ultimo, è rimasto Mohammed Alhuiri, 25 anni,
iracheno: "Per tutta la giornata di venerdì stava malissimo. Si lamentava.
Non si reggeva in piedi. Aveva la febbre alta, mi ha persino chiesto di
toccargli la fronte perché sentissi anch’io". Alle 3 è stato visitato dal
medico di guardia, nell’infermeria della Croce Rossa. "Ma forse pensavano
fosse una cosa leggera o non gli hanno creduto – racconta Alhuiri – perché gli
hanno dato una medicina, se ho capito bene un antibiotico, senza nemmeno
verificare se potesse essere allergico. Hassan era tossicodipendente, prendeva
il metadone, aveva problemi, stava ancora male. Eppure non hanno voluto più
saperne di lui. L’hanno lasciato solo. L’hanno trattato come un animale".

A mezzanotte e mezza la
situazione si è aggravata. "Ho perso la voce a furia di urlare – spiega
Alhuiri – a mezzanotte e quarantacinque gridavamo tutti. Dopo un po’ è arrivato
un addetto della Croce Rossa. "Fino a domani mattina non c’è il
medico", ha spiegato. Poi se n’è andato."Hassan si è steso sul suo letto,
era caldo, stava malissimo…".
Ieri mattina suo fratello voleva parlargli. Visto che Hassan Nejl non ha il
telefono, ha chiamato al numero di cellulare di un altro immigrato marocchino
trattenuto nel Cpt. "Sono andato per passargli la chiamata e l’ho visto –
racconta – aveva gli occhi sbarrati e la bava alla bocca. Non respirava
più". L’hanno portato di nuovo in infermeria. Ma era troppo tardi.

Alle 8 di mattina il medico di
guardia ha constatato il decesso.
Ora gli agenti dell’ufficio immigrazioni della questura sorvegliano le case
gialle. Tutti gli immigrati hanno annunciato lo sciopero della fame: "Fate
qualcosa per noi – urlano – dite la verità. Venite a vedere come siamo
trattati. Qui siamo come in un canile, dove se abbai nessuno risponde”.


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