“Demolire è Costruire”

Vogliamo qui cogliere lo stretto rapporto tra l’ espansione urbanistica e la sensazione di disagio e di insicurezza espressa in città.
Laddove si affida il futuro della città alla crescita di un’economia nella quale prevale la rendita parassitaria, e la ricchezza nasce dalla distruzione di un bene comune (il territorio) allora è chiaro che i risultati non possono essere diversi: il disordine urbanistico, la demolizione del paesaggio, il disagio dei cittadini.
 
La demolizione diventa il simbolo delle trasformazioni urbanistiche in città.
A Pisa tale pratica è stata trasmessa in diretta su 50 canale.
Riguardava l’area Motofides a marina di Pisa dove sorgerà un porto che, accantonati i dubbi sulle sue capacità di riqualificare l’intera area, sicuramente riqualificherà il portafogli di chi costruisce con tanto di albergo e villette per Vip.
 
Si plaude poi alla costruzione di una mirabolante biblioteca comunale con spazi verdi e un’infinità di servizi, quando nonostante i tanti proclami che da anni si avvicendano, l’unica cosa fatta al momento è la demolizione, che sembra farà spazio ad un palazzo di 4 piani con una torre di oltre 15 metri.
Per adesso si vedono solo le macerie, di quello che una volta era il centro sociale “Macchia Nera” luogo di aggregazione giovanile dove i progetti e i mille eventi che venivano portati avanti erano frutto dell’autorganizzazione.
 
Si passerà a breve alla demolizioni in via Battisti dei capannoni dell’Ex Enel dove adesso vive Rebeldia, un centro sociale di un’importanza unica soprattutto in quel quartiere dove le contraddizioni nate dal clima di intolleranza sociale e dalla deriva securitaria colpiscono più a fondo.
Questi ultimi lavori (del valore di 30 milioni) rientrano in un più vasto piano di trasformazione della città e sono un importante tassello del cambiamento urbanistico che riguarda la parte di Pisa a sud dell’Arno, insieme al parcheggio di Piazza Vittorio Emanuele, l’area della Saint-Gobain, l’apertura dell’Incile, il canale dei Navicelli, il polo della nautica.
«Con questa operazione razionalizzeremo l’offerta di servizi pubblici – ha dichiarato il sindaco Marco Filippeschi – risparmieremo risorse e daremo un nuovo assetto al quartiere intorno alla stazione ferroviaria…. l’area diventerà un vero e proprio "polo di servizi". L’intervento previsto dal piano attuativo prevede la demolizione della maggior parte dei manufatti presenti privi di significati storici e la realizzazione di edifici polifunzionali.”
 
Insomma demolire la parola d’ordine, per poi ricostruire.
La demolizione che viene presentata come il simbolo del costruire ci riporta agli slogan del partito del 1984 di Orwell: «la guerra è pace», «la libertà è schiavitù», «l’ignoranza è forza»; “Demolire è costruire”, aggiungiamo noi.
 
Fino a pochi anni fa, la crescita delle città significava l’insieme di crescita demografica e di crescita fisica. Infatti, ogni incremento di abitanti comportava un maggiore fabbisogno di abitazioni, un più alto numero di posti di lavoro, nuovi e più qualificati servizi e, in definitiva, più spazio.
La disciplina urbanistica era chiamata proprio a governare questa crescita urbana, soltanto verso la fine degli anni ottanta qualcuno comincia a parlare del passaggio dalla cultura dell’espansione a quella della trasformazione.
Molte indagini a livello locale dimostrano oggi un progressivo scollamento fra dinamiche sociali e crescita spaziale delle città.
In molti contesti, accostando l’andamento storico della popolazione a quello del progressivo consumo di suolo, è evidente la forbice fra dinamiche sociali e crescita.
Generalmente, fino alla metà degli anni settanta si registra una crescita fisica in linea con quella demografica.
Da quel momento in poi la popolazione non cresce più, mentre le aree urbanizzate si estendono con lo stesso ritmo di prima.
 
Tornando a Pisa, lo sviluppo urbano di questa città è sembrato il punto di forza che ha portato la nuova giunta di Filippeschi a insediarsi a palazzo Gambacorti, promettendo una forte continuità con il piano urbanistico del predecessore Fontanelli.
Lo stesso ex- assessore all’urbanistica Sardu, era il possibile candidato a sindaco (per capire l’importanza della materia) se non fosse stato per gli ordini arrivati da Roma e la necessità che in parlamento si liberasse un posto per accogliere Fontanelli.
 
La crescita della città avviene perlopiù in direzione est verso Cisanello, Pisanova.
In quei luoghi, si costruiscono tutte le strutture cardine della città, come l’ospedale e le caserme delle forze armate.
Perfino le istituzioni, come la provincia si spostano nella Pisa-nova, vendendo le loro sedi storiche in pieno centro e vendendo pure le strutture di nuova fabbricazione per ricostruire ai margini della città.
Il motore delle trasformazioni che i nostri eletti assumono è la convenienza del mercato immobiliare. Non l’interesse dei cittadini ad avere una città più bella e più funzionale, un territorio in cui l’ambiente naturale non sia un lontano ricordo, ma l’interesse di chi, essendo proprietario del suolo su cui la città sorge, è diventato il padrone indiscusso.
 
Non c’è città, anche piccola, che non abbia al suo interno grandi complessi non più adoperati per le funzioni originarie: fabbriche, carceri, strutture militari.
La regola che presiede l’utilizzazione di queste strutture è quella del modello Veltroniano. Devono servire a far fare cassa ai proprietari: soprattutto ai gruppi industriali che le possiedono, e che preferiscono lucrare sul parassitismo della rendita immobiliare.
 
Nel centro cittadino si assiste ad una vera e propria fuga da parte di chi non si può certo permettere gli affitti da usura che il mercato impone.
Tutto questo mentre all’interno delle mura, troppi sono gli appartamenti sfitti (1.500) visibili e scandalosamente lasciati al degrado, intere strutture in pieno centro (basti pensare all’ex enel sui lungarni) rimangono sfitte lasciando il mercato degli affitti alle stelle e continuando a favorire le rendite dei palazzinari.
 
Non tutti privati gli stabili inutilizzati: se si pensa alla Mattonaia, la questione è inversa, si cerca ormai da anni di venderla ai privati, inserita prima, all’interno del piano di vendita del patrimonio pubblico Cortopassi, un piano passato alla storia per aver fatto incassare diversi milioni alle casse comunali, non contando il danno sociale ottenuto nell’aver ceduto un centro urbano completamente in mano a privati che si regolano sulla base dei loro profitti.
Adesso quella struttura costruita con fondi per l’edilizia popolare, sfitta da oltre 25 anni senza nemmeno veder conclusi i lavori al suo interno, verrà svenduta a qualche privato, amante dell’architettura “Carmassi”.
 
Tutto ciò nonostante il problema casa sia il primo problema a Pisa, una città che risulta essere terza in Italia per numero di sfratti.
 
Dalle politiche pubbliche il problema della casa in Italia è scomparso.
Aboliti dal 1999 i contributi Gescal (l’anno prima era stato cancellato l’equo canone), dispersi tra mille rivoli i fondi residui, lo Stato non ha mai assegnato alle regioni fondi per la casa (come ha fatto per tutte le altre competenze trasferite). Dal 2002 per la residenza non c’è stata più neppure una lira.
 
Occorrerebbe riprendere con forza il tema della costruzione di una città come bene comune.
 
Degradante è vedere la piena realizzazione di una società liquida, dove la paura del diverso e la mancanza di solidarietà tra i membri di una comunità lascia spazio ai nuovi fascismi, sempre pronti a far breccia nell’individuo che isolato e senza diritti cerca difesa nel razzismo, lanciandosi nel gioco del tiro al bersaglio sugli “ultimi”, mentre i “primi” si costruiscono i propri privilegi.
 
“Lo Stato si priva di una sempre più grande dose della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l’insieme delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l’entusiasmo degno di una causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti che sono vitali per il funzionamenti e il futuro della società sfuggono alla supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l’idea stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe fallita.”
Zygmunt Bauman
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