Schiavi in Padania come nel Sud. Morti sul lavoro che non avranno mai giustizia. Vera.

La moderna Europa non ce la fa
più. Il desiderio di profitto ha invaso tutto, anche la pìetas cristiana è
stata sconfitta da questo sistema di cose. Per non parlare della solidarietà.In questa settima si sono verificati due episodi gravissimi. Nel sempre più
isolato e abbandonato Sud Italia è morto un giovane non ancora maggiorenne. E’
morto mentre lavorava senza alcuna protezione. E’ caduto nel vuoto. La opulenta
Padania tanto fiera della propria storia e delle verdi giubbe leghiste dovrà,
invece, ricordare la storia di un signore Indiano, migrante irregolare, morto
schiavo in azienda agricola nel mantovano. Pochi soldi per una giornaa intera
di lavoro.

Il primo avrebbe compiuto 18 anni
il prossimo ottobre il giovane operaio morto oggi al corso Umberto di
Casalnuovo di Napoli. Raffaele C., residente nel quartiere di Secondigliano, a
Napoli, è precipitato da un’altezza di circa quindici metri. Il giovane operaio
è salito sul terrazzo di un edificio per montare un condizionatore per un
appartamento attiguo. All’improvviso ha perso l’equilibrio, precipitando al
suolo. Per Raffaele C. non c’é stato nulla da fare. Sul posto c’era anche il
titolare padroncino che ha fornito il condizionatore e un elettricista. Da poco
assunto, non aveva alcuna protezione antinfortunistica.

Il secondo lo hanno trovato morto
il 27 giugno scorso, sotto un filare di alberi nelle campagne di Viadana,
paesetto del mantovano.

In un primo momento si è pensato
che Vijai Kumar, un cittadino indiano di 44 anni in Italia irregolarmente,
fosse stato ucciso da un semplice malore, forse dovuto al caldo. Ma che ci
faceva in aperta campagna nelle ore più torride della giornata?

Le indagini di Viadana hanno
portato a una conclusione molto più amara: è stata la fatica a uccidere Kumar,
vittima delle durissime condizioni del lavoro nero. Secondo gli inquirenti
l’indiano si sarebbe sentito male sul campo dove stava lavorando, ma il
proprietario dell’azienda agricola  avrebbe ordinato ad altri clandestini
di trasportarlo lontano, sotto gli alberi dove poi è stato ritrovato.

Ieri l’agricoltore è stato
denunciato semplicemente “a piede libero per omicidio colposo e multato di 90
mila euro per utilizzo di manodopera irregolare”. Bene, la vita di un uomo vale
90mila euro e l’assassino è fuori. Il titolare di una cooperativa viadanese che
aveva fornito all’azienda otto lavoratori, oltre all’indiano morto, è stato
denunciato per caporalato.

Durante il blitz dei carabinieri
e dei funzionari dell’ispettorato del lavoro sono stati trovati al lavoro altri
tre cittadini migranti impiegati in nero e un clandestino già colpito da un
provvedimento di espulsione, che è stato arrestato. Un migrante non solo
è sfruttato per 16 ore al giorno a lavorare in nero, ma viene pure portato in galera.
Ricordo: il datore di lavoro è libero, il migrante senza documenti che lavorava
lì è dietro le sbarre.

In questi casi l’opinione
pubblica non si ribella e la notizia passa in secondo piano. I media continuano
a parlare ossessivamente di sicurezza. Non quella sul lavoro, ma quella che
serve a difendere gioiellerie, ville, Suv e yacht.

Ma resta comunque il fatto che
questa non è giustizia.

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