Affrontare la questione della libertà di informazione e di accesso ai mezzi di comunicazione di massa in Italia significa, inevitabilmente, imbattersi nella gigantesca anomalia di un sistema televisivo che vede i due principali operatori, Rai e Mediaset, controllare il 95% del mercato della tv analogica (ovvero quella che arriva nelle case di tutti i cittadini italiani), ed essere direttamente controllati, per via politica o economica, dal Presidente del Consiglio.
Data la peculiare importanza della televisione come mezzo di informazione, formazione e controllo dell’opinione pubblica di un paese, non c’è da meravigliarsi che questa situazione porti Reporters senza frontiere a collocare l’Italia al 35° posto, fra Bosnia e Macedonia, nella classifica 2007 dei paesi con maggiore libertà di informazione.
Gli effetti di questo stato di cose sono così evidenti che è davvero straordinario che molti non sembrino accorgersene. Essi sono stati più volte denunciati su questo blog, soprattutto per quanto riguarda l’operazione di continua iniezione di paura, razzismo e intolleranza che quotidianamente viene operata dalla tv nella società italiana, e che risulta palesemente funzionale alla costruzione del consenso nei confronti della destra più populista e xenofoba che abbia mai governato un paese europeo dopo la morte del dittatore spagnolo Franco.
Ma se cogliere questo aspetto del problema, che affligge l’informazione a tutti i livelli, dalla stampa locale salendo fino ai principali telegiornali e alle principali trasmissioni di "approfondimento", può richiedere una capacità di analisi non così diffusa nel tessuto sociale, il sistema televisivo offre delle occasioni di "auto-smascheramento" così spettacolari e grottesche da rendere inspiegabile una mancata presa di coscienza collettiva del fenomeno. Un esempio recente: l’8 luglio migliaia di persone sono scese in piazza, a Roma, per manifestare contro le leggi "ad personam" volute da Berlusconi. Dal palco sono intervenuti, tra gli altri, due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) che, nei loro interventi, hanno attaccato il Presidente della Repubblica e il Papa. Il giorno dopo i notiziari televisivi hanno dedicato l’intero servizio a questo aspetto, e alle prese di distanza dell’intero "arco costituzionale" delle forze politiche dalle parole dei due comici, senza neppure citare le ragioni per cui decine di migliaia di persone avevano riempito una piazza di Roma, né offrire una possibilità di replica agli organizzatori dell’evento e ai due comici.
E tuttavia, pur riconoscendo e denunciando la gravità di una situazione di monopolio mediatico nelle mani di un capo di governo, ed evidenziando l’allarme democratico che ne deriva, crediamo che essa sia solo la punta di quel gigantesco iceberg che ostruisce il percorso verso una maggiore libertà di informazione nel nostro paese. Infatti, troppo spesso in Italia si è proceduto, da parte dei giornalisti e degli intellettuali "di sinistra", alla pur doverosa ricostruzione degli intrecci politici e criminali che hanno prodotto questo sbocco assolutamente unico nel panorama occidentale, senza affrontare con altrettanta passione la questione di come, nei fatti, risulti impossibile, in Italia come in qualsiasi altro paese dell’occidente liberale e capitalista, l’accesso ai mezzi di comunicazione di massa per quelle forze portatrici di idee e contenuti "antisistema", che percorrono la società e che popolano la rete con migliaia di siti e blog. Contenuti che contribuirebbero ad arricchire il dibattito pubblico su questioni cruciali come la sicurezza ambientale e lavorativa, la "pubblica inutilità" di molte delle grandi opere in cantiere, concepite unicamente allo scopo di massimizzare i profitti di chi le realizza, la partecipazione dell’Italia a missioni militari criminali, e così via.
Se la risposta al duopolio-monopolio televisivo fosse semplicemente una maggiore apertura del mercato ad altri soggetti, come propongono le opposizioni attualmente rappresentate in Parlamento e il gotha dei pensatori "di sinistra", il risultato sarebbe, ben che vada, un adeguamento agli standard già raggiunti dalla stampa italiana, e riscontrabili nei sistemi televisivi del resto dei paesi europei.
Ovvero un’informazione funzionale alla logica dell’alternanza politica tra forze con sfumature più progressiste o più conservatrici, ma entrambe saldamente radicate sul terreno comune della difesa del mercato come principio regolatore della società. Un sistema mediatico dal quale sarebbero immancabilmente tagliati fuori quei soggetti che si propongono di inoculare, nel "mercato delle idee" (come candidamente lo chiamano loro), idee e contenuti contrari allo status quo dell’ordinamento economico e sociale, e proposte per il suo superamento.
Tagliati fuori non per legge, naturalmente: la libertà di parola formalmente non si nega quasi mai a nessuno. Ma perché un sistema mediatico organizzato come un mercato non può avere per protagonisti che i detentori del potere economico e finanziario, i quali, in qualità di editori, non hanno certo interesse a dare voce a coloro che vogliono rovesciare la "vaschetta dell’acqua" nella quale essi sguazzano, e prosperano.
L’obiezione, spesso sfoderata dai think tanks che il sistema oppone come una sorta di difesa immunitaria ai virus che vogliono attaccarlo sul terreno del pubblico consenso, è che c’è pur sempre la rete dove potersi sfogare. Sulla rete tutti possono costruirsi il proprio spazio di libera comunicazione. Peccato però che la televisione blatera per dieci ore al giorno nelle case di tutti gli Italiani, di qualsiasi età o ceto sociale, mentre la rete resta uno strumento relativamente poco accessibile, all’interno del quale, in ogni caso, la controinformazione è così diluita nella miriade di siti commerciali, pornografici o peggio, da restare appannaggio di pochi. Quelli, oltretutto, che ne avrebbero meno bisogno, perché se sono arrivati a visualizzare uno di questi siti, o blog, sono già un bel passo avanti rispetto al telespettatore medio sul quale sono ritagliati i format televisivi.
Infine, per quanto riguarda la stampa, se dalla grande distribuzione si viene tagliati fuori, al solito, dal mercato, per le piccole realtà locali, come possono essere collettivi o associazioni, interviene la legge, che abbatte la scure del reato di stampa clandestina su qualsiasi gruppo di persone che si prefigga di redigere un periodico di informazione, anche a distribuzione gratuita, a meno che non venga costituito un comitato redazionale presieduto da un giornalista iscritto all’albo, e non si consegni alla questura una copia di ciascuna uscita, per un "controllino" in stile Germania Est.
Come si è cercato brevemente di mostrare, gli ostacoli che si incontrano sul sentiero della libertà di informazione e di accesso ai mass media, sono ben più profondi di quelli che vengono troppo sbrigativamente incarnati nella figura del Caimano Berlusconi, e si intrecciano in modo indissolubile con l’organizzazione economica delle nostre società, che dispongono dei mezzi necessari all’esclusione delle forze ostili, senza neanche dover ricorrere in modo eclatante, o troppo frequente, a forme di censura, o di compressione violenta della libertà di parola, che finirebbero con l’allarmare ed indignare l’opinione pubblica.