Pisa, 28 luglio. In questo editoriale, l’ultimo prima della pausa estiva, la redazione del progetto Gramigna vorrebbe fare una breve riflessione sulle ultime, pessime, evoluzioni del cosiddetto “problema sicurezza” nella nostra città. Cosiddetto, perché siamo convinti che l’insicurezza in cui a quanto pare vivono tanti pisani, più che dipendere da motivi reali, sia il frutto di una campagna stampa feroce, volta a creare paura e tensione.
Dopo mesi in cui i giornali locali hanno fatto di tutto, evidentemente seguendo e assecondando le volontà dell’amministrazione cittadina, per creare paura del diverso, del migrante attraverso articoli di stampo palesemente razzista, non molti giorni fa il prefetto ha detto che le notti pisane sembrano quelle di Beirut (sotto bombardamenti).
Questa parossistica affermazione è solo l’ultimo segnale di un preciso aspetto della “questione sicurezza”: il tentativo di far rientrare all’interno della suddetta questione quella che è semplicemente la normale socialità di cui vive una città in cui sono presenti decine di migliaia di studenti.
Dopo aver dipinto Pisa come una città in mano alla criminalità, in cui in certe zone, come quelle intorno alla stazione e a piazza delle Vettovaglie, è impossibile vivere con l’intento di addossare ogni responsabilità ai migranti, il nuovo capro espiatorio in grado di distogliere l’attenzione dai veri problemi della nostra città sono gli studenti, colpevoli di fare troppo chiasso nelle ore notturne e di bere troppo.
È degno di nota il fatto che a soffiare sul fuoco siano anche gli stessi proprietari di bar e locali, che in un’improbabile lotta contro i loro stessi clienti chiedono più rigore, più silenzio, più ordine.
Crediamo che per sfuggiree alla spirale securitaria che anche a Pisa la fa da padrona sia necessario porsi una domanda: qual è il modello di città che porta avanti chi paragona le notti pisane alle notti di Beirut?
Chi sostiene questo improbabile e ridicolo accostamento vorrebbe una città morta, in cui gli studenti non siano altro che una semplice e redditizia risorsa da sfruttare. Una schiera di consumatori pronti a rientrare ordinati e in punta di piedi nelle proprie case una volta spesi i propri soldi.
A Pisa è lecito pagare duemila euro all’anno per l’università, trecento euro al mese, quasi sempre al nero, per un tetto fatiscente sulla testa.
Non è lecito invece ritrovarsi nelle piazze, parlare, conoscersi, bere una birra insieme. O meglio, è lecito, ma solo in costosi locali dove una birra costa cinque euro. Guai a restare all’aperto, bevendo una birra portata da casa, magari calda ma molto più economica.
Molto spesso a difesa delle scelte dell’amministrazione cittadina come la recente normativa che impedisce il possesso di bevande alcoliche dalle 22:00 alle 3 di notte si cita il diritto dei cittadini che vivono nel centro storico di vivere tranquilli, di dormire.
Se il sonno dei pisani sta tanto a cuore all’amministrazione comunale perché enormi e splendidi spazi della nostra città come il prato antistante la Cittadella, il Bastione San Gallo e altri luoghi lievemente decentrati che permetterebbero di unire perfettamente le esigenze di chi vive in centro e la notte vuole dormire e di chi invece la notte vuole uscire sono regolarmente chiusi da anni? Perché anziché combattere la piccola criminalità, peraltro a Pisa quasi inesistente rispetto a moltissime altre città italiane, attraverso iniziative che sottraggano le piazze cittadine al degrado facendole vivere si preferisce farlo attraverso repressione, polizia, telecamere e divieti vari?
Forse perché tutto sommato l’enorme attenzione rivolta al tema sicurezza non ha come fine il benessere dei cittadini, ma il controllo sociale.