A Sant’Anna di Stazzema, nelle colline sopra Lucca, il 12 agosto 1944
arrivarono quattro compagnie di SS del secondo Battaglione, la quinta, la sesta, la
settima e l’ottava. Si preannunciarono con il lancio di quattro razzi rossi. Gli uomini,
pensando alla rituale retata, se la dettero a gambe per la valle. Su, in alto, rimasero in
gran parte solo vecchi, donne e bambini. Evelina Berretti in Pieri era nella sua casa.
Aspettava la levatrice. Furono loro, i militari, a far da levatrice. Li guidava il fu
capitano Anton Galler, un ex fornaio. I suoi uomini aprirono il ventre di Evelina con le
baionette e lanciarono il feto per aria, sparandogli alla testa. Testimone, tra gli altri,
fu l’ex rabbino capo di Roma Elio Toaff, che l’ha raccontato nel suo libro "Perfidi
giudei, fratelli maggiori".
Il marito di Evelina fu trucidato con i suoi fratelli, qualche metro più in là. Quella
mattina la furia omicida si scatenò anche contro una bambina di 20 giorni, Anna Pardini:
morirà un mese dopo, troppo piccola per sopravvivere alle ferite. I nazisti radunarono
vari gruppi di persone, trascinandole fuori di casa, per ucciderle: alla fine le vittime
di questa strage furono 560, tra cui molti anziani, donne e bambini.
I tedeschi buttarono
le bombe e poi diedero fuoco alle case. Enio Mancini, che da una vita cura il Museo di
Stazzema, ricorda: «Io allora avevo sette anni, mi portarono via insieme con mia madre,
le due nonne e il mio fratellino. Mio padre no, era scappato all’alba. Ci misero al muro,
piazzando davanti a noi la mitragliatrice. Subito dopo, il comandante di quella compagnia,
non so chi fosse lui e quale fosse la sua compagnia, ci disse «Raus, raus, schnell
schnell", via, via, svelti, svelti. Ci salvò la vita. Un gesto di umanità, in mezzo
a tanta ferocia…».
Tra quei massacratori c’erano anche degli italiani: lo dimostra una targhetta, che ora è
nel museo, con la scritta "Stalag IB-NR 749 I". IB è la sigla del campo, che
secondo ricerche fatte da Mancini è nei pressi di Stettino, in Polonia, NR 749 è la
matricola del soldato, la I indica la nazionalità italiana: evidentemente un militare del
nostro paese passato ai tedeschi. Una riprova? L’hanno fornita Alba e Ada Battistini, 17 e
15 anni all’epoca dei fatti: bloccate, mentre cercavano di fuggire, da un gruppo di cinque
miliziani. Quattro parlavano perfettamente l’italiano, usando anzi tipiche espressioni
dialettali della zona. Furono loro ad ammazzare i genitori delle ragazze, salve grazie
all’intervento dell’unico vero tedesco: con un cenno fece capire ad Alba e Ada di
allontanarsi mentre sventagliava in aria una raffica di mitra.
Entrò in azione anche un discreto numero di collaborazionisti, almeno una quindicina.
Guidarono i nazisti per le impervie mulattiere che portavano a Sant’Anna, si caricarono
sulle spalle cassette di munizioni. Una particolare citazione merita Aleramo Garibaldi,
noto fascista locale. L’11 agosto, il giorno prima della strage, aveva cercato un rifugio
per la moglie e le due figlie: un indizio macroscopico che l’eccidio era stato veramente
programmato. Una testimone, Maria Luisa Ghilardini, riconobbe in lui l’uomo che,
mitragliatrice alla mano, fece fuori 17 persone del suo gruppo, ferendo anche lei a un
polmone, trapassato da un proiettile. Lo rivide qualche anno dopo al mercato di
Pietrasanta: gli saltò al collo, lo graffiò, gli strappò i capelli e lo prese a morsi.
Intervennero i vigili urbani e scoprirono che lui portava ancora con sé un lasciapassare
tedesco. L’uomo si mise a piagnucolare dicendo che anche sua moglie Andreina Genovesi e le
due figlie erano state uccise. Era vero, probabilmente il rifugio da lui cercato per i
congiunti non era stato poi così sicuro. Quattro anni fa un nipote di Andreina Genovesi
ha chiesto, e ottenuto, che il cognome da sposata di sua zia, "Garibaldi",
inciso sulla lapide che sovrasta l’ossario di Stazzema, venisse cancellato: «Non posso
lasciarle questa vergogna addosso».
(tratto da L’espresso.it)