NAPOLI – Circa trecento migranti si sono riversati per le strade di Castelvolturno, sul litorale tra Caserta e Napoli, dopo il massacro di ieri, dietro il quale secondo gli inquirenti ci sarebbe il clan dei Casalesi,
attivi in una lotta per il controllo dello spaccio di droga svolto da
gruppi di migranti africani.
Sei ragazzi sono stati assassinati mentre un altro è rimasto ferito nell’agguato avvenuto ieri sera nella zona nei pressi di una sartoria di proprietà di extracomunitari. Cinque di essi erano già morti all’arrivo della polizia, mentre il sesto si è spento poche ore più tardi in ospedale.
In un altro agguato, sempre ieri nei pressi di Castelvolturno, quattro o cinque persone sono entrate in una sala giochi e hanno esploso colpi di kalashnikov contro il proprietario Antonio Celiento, che è morto dopo l’arrivo in ospedale. Celiento risulta essere fratello di una persona che secondo gli inquirenti sarebbe legata al clan Schiavone dei Casalesi.
La tesi del regolamento di conti però viene negata dai migranti del posto, che ricordano come la droga non c’entri. "Noi siamo qui per lavorare, qui la droga non c’entra" – dicono i migranti. "Le persone che sono morte lavoravano, cucivano vestiti per mangiare". "Ci vogliono, cacciare, ce l’hanno con noi, è razzismo", dicono alcune donne che fanno parte del gruppo che protesta.
Oggi la rabbia dei migranti è salita: strade bloccate e vetrine infrante, auto rivoltate in mezzo alla strada e blocchi di altre vetture gridando: "Vogliamo giustizia!". L’episodio di ieri potrebbe essere collegato, sempre secondo gli inquirenti, a una sparatoria dell’agosto scorso avvenuta sempre a Castelvolturno. Obbiettivo quel giorno fu la casa di Teddy Egonwman, presidente dell’associazione dei nigeriani campani, conosciuto per la sua campagna contro lo sfruttamento della prostituzione.
Fonti: Reuters, Infoaut