“Vivere secondo il precariato sulla e con la propria pelle”

Pubblichiamo di seguito una lettera che ci è stata inviata da una lavoratrice precaria:

“Vivere secondo il precariato” è tante, troppe cose, veramente difficili da spiegare.

Le può capire solo ed esclusivamente chi davvero vive tale condizione.

Tanto per cominciare, credo che l’unica nostra differenza e fortuna rispetto ai poveri immigrati precari ovunque nel mondo, sia che almeno noi (o alcuni di noi)  abbiamo fortunatamente una famiglia alle spalle, che ci sorregge – anche se in minima parte – nel caso “cadiamo  indietro” …

Questo forse è l’unico conforto in mezzo a tanta decadenza.  

Vivere nel precariato significa essere letteralmente appesi ad un filo, con la vita che può cambiare da un momento all’altro, da una telefonata, email, o  passaparola all’altro!

Significa a volte non potersi permettere tutti i mesi un affitto da studenti, dover mangiare l’indispensabile, uscire e non potersi comprare assolutamente niente (che non sia “la spesa del mese” da consumare a casa); significa camminare per strada ed “essere assaliti” da duemila pensieri. Per esempio da frasi “rilassanti” del tipo: “dove porto oggi il curriculum, come faccio a pagarmi l’affitto questo mese  visto che non lavoro, cosa farò domattina e tutto il resto del giorno?”. E poi ancora: “chissà se mi chiameranno quelli lì di quel tal lavoro, almeno per un colloquio …!”; o ancora: “chissà se riesco a fare quello stage … anche se so che non mi sarà retribuito!”.

“Vivere secondo il precariato”  significa fare duemila domande di lavoro tutte insieme, per cose poi davvero distanti “anni luce” tra loro.

Significa, come dico io, avere il cervello “come un puzzle”, e “la testa a settori”: duemila cose da decidere di “voler fare”, duemila tipi diversi di lavoro ed attività da provare a fare …! Così tanti progetti in testa, … “tutti un po’ campati in aria”, di cui non si conosce bene nemmeno “il succo!”.  

“Vivere secondo il precariato” significa da una parte “cercare di mangiare anche oggi”, magari lavorando qua e là in nero, anche a 3.50 eu all’ora … anche solo tre ore a settimana ( … se va bene!); e dall’altra, ricordarsi comunque e sempre – nonostante tutto – che alla fine siamo (ancora e sempre) “dottoresse e dottori” …E pensare che l’avevamo dimenticato!!

Significa quasi “vergognarsi” di essere laureati … quando in uno dei tanti colloqui collettivi (con altre quindici persone minimo) si è forse gli unici ad essere laureati e – nonostante ciò – si cerca di “farsi scegliere” anche magari solo per vendere aspirapolvere qua e là …!!!

Significa dover fronteggiare, senza arrabbiarsi e a testa alta, tutti quelli che non hanno studiato come noi, ma che lavorano già da un pezzo e ci  prendono sottilmente in giro per quello che stiamo o non stiamo facendo … o che magari ci  fanno anche sentire in colpa per aver studiato … o semplicemente ci guardano dall’alto in basso, solo perché abbiamo la stessa età (o forse più) ma meno soldi di loro …

Significa dover parlare ai colloqui  con datori di lavoro (tutti uguali, con gli stessi vestiti e la stessa testa, le stesse parole: “l’azienda, … l’azienda …, gli obbiettivi … !!”) per i quali  il salario che ci spetta per quel tal lavoro sembra proprio l’ultima cosa di cui discutere…!! Datori di lavoro che di tutto parlano, fuorché dei nostri diritti;  incapaci di offrire quelli si presentano  con la “lentina d’ingrandimento” quando invece si tratta di vedere i nostri doveri, o “il certo  profilo che possiamo o non avere”, o “quanti peli nell’uovo in più possediamo…!”.

Significa cercare di risparmiare su tutto, come se avessimo da sfamare dieci piccole bocche … eppure siamo soli, non abbiamo ovviamente una famiglia, non possiamo avercela! Se a stento riusciamo a sfamare noi stessi da soli!!

Significa risparmiare, ma sempre e ancora ricordandosi di essere “dottori”, e cercando di mantenere la propria dignità!!

“Vivere secondo il precariato” significa farsi strada pian pianino … dovendo scegliere tra (apparenti) milioni di alternative, … tutte allettanti in principio: poi sempre più insicure e precarie, o semplicemente poco probabili … !

Significa dover lavare il pavimento di un ristorante la sera, e magari la mattina dello stesso giorno essere andati  anche fuori città a fare un colloquio di lavoro in un posto che “ha molto più a che vedere e a che fare” col nostro titolo di studi, la nostra  cultura o ancora  la nostra aspirazione.

Precari significa, alla fine dei conti, “ veder quasi tutto uguale” …: “l’importante è guadagnare” … !! almeno quei 3 eu all’ora per quelle tre ore alla settimana!!

Precari significa “essere risucchiati” in un vortice continuo ed instancabile, che confonde … e poi non fa più capire chi sei, cosa cerchi, dove vai,  o cosa ti piace fare … !!

Significa svegliarsi la mattina e poi coricarsi la sera sempre con lo stesso pensiero per tutto il giorno, … da un po’ di anni ormai … : “lavorerò!!??”.

Significa cercare e cercare senza sosta “un po’ tutto”, così, come dei matti … !!

Significa svegliarsi solo per riuscire a trovare un lavoro … e poi magari, alla fine della giornata, o della settimana o del/dei mese/i, non vedere i frutti pienamente meritati!!

Significa cercare cercare e non trovare mai, camminare camminare e non arrivare mai …: che credo siano tra le pene maggiori per un essere umano!!

 “Vivere secondo il precariato” significa che il lavoro  è ormai diventato “il cercarlo!!”.  

Significa che ogni giorno è più o meno uguale all’altro, correndo correndo sempre sullo stesso cerchio …!!

Credo che ci stiano rubando il tempo, “le ali”, i nostri  anni migliori, quando invece possiamo tanto alla società tutta …

Sono gli anni in cui in realtà possiamo coltivare ed offrire al massimo i nostri talenti, e soprattutto in cui possiamo e dobbiamo avere un ruolo … !!!!! Ma è così difficile da capire tutto questo!?

Meno male ci sono rimasti sempre la speranza ed i nervi saldi: oltre alla disoccupazione più nera dopo “non aver fatto altro che il famoso mazzetto tutti questi anni”, credo che non meritiamo anche star male dentro … e rischiare di non essere normali.

Il precariato, togliendoci il nostro ruolo, ci fa sentire inevitabilmente inutili, ed impotenti …precari appunto, come “carta velina”  prossima alla rottura … !

Naturalmente, il mio fine non è per niente impietosire … ma soltanto smuovere le coscienze!

Questa vita, questo sistema, questa situazione devono assolutamente cambiare!!

Coloro che “decidono per noi”  riflettano … e poi, finalmente, AGISCANO!!

Lo meritiamo.

                Marianna Morea

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