Dopo le manifestazioni di protesta e le battiture di mercoledì 12 agosto (all’interno e all’esterno del CIE) e la rivolta divampata giovedì contro la decisione punitiva – utilizzando l’entrata in vigore dell’ultimo decreto sicurezza – di prolungare la detenzione di altri 60 giorni ai detenuti in sciopero della fame, la repressione poliziesca e giudiziaria s’è abbattuta con violenza sui detenuti che si sono opposti alle condizioni imposte.
Gli effetti di tale repressione si sintetizzano nei numeri: 14 arrestati (9 uomini e 5 donne, per lo più giovanissime), 29 detenuti trasferiti presso il CIE di Bari-Palese (uno dei più grandi e probabilmente quello sottoposto ai più alti criteri di controllo e isolamento) 19 trasferiti a Brindisi (dove, proprio oggi, è stato aperto un nuovo CIE).
Il segnale che si è voluto dare è chiaro: nei CIE, anello fondamentale della catena repressiva non sono ammessi intoppi.
Essi sono decisivi, non solo per mettere in atto le direttive categoriche del nuovo decreto sicurezza, ma soprattutto come strumento di ricatto, repressione e terrorismo, diretto e indiretto, finalizzato a ridurre letteralmente in schiavitù milioni di persone, sballottate costantemente tra detenzione nei nuovi lager e supersfruttamento sui posti di lavoro (come dimostra la composizione, a prevalenza operaia, della “popolazione” reclusa in Corelli).
Su questa convinzione s’è basata e si basa l’azione di chi ritiene necessario sviluppare la solidarietà esterna e che, dopo la repressione della ribellione, ha presidiato per l’intera giornata l’aula del tribunale in cui si svolgevano le udienze di convalida degli arresti
Anche grazie a quella presenza la maggioranza dei prigionieri è riuscita a nominare un avvocato di fiducia nell’imminenza di un processo molto complesso basato su accuse pesanti (resistenza, lesioni, danneggiamenti e incendio).
Accuse con le quali cercano di nascondere la verità e cioè che l’entrata in vigore del decreto sicurezza ha prodotto lotte immediate, e in diversi CPT (Gradisca, Milano, Roma, Torino), che i detenuti in sciopero della fame da 6 giorni in via Corelli sono stati “puniti” col prolungamento della detenzione per altri 60 giorni, che di fronte alla ulteriore protesta è partito un pestaggio indiscriminato prima verso donne e uomini.
Quindi, se resistenza c’è stata, devono emergere le vere responsabilità dell’accaduto, le sue profonde ragioni sociali e, tutt’intera, la sua Legittimità di fronte al Sopruso.
Perché sopruso è l’esistenza stessa di questi luoghi in cui vigono la sospensione di qualunque diritto e il libero arbitrio delle istituzioni politiche e militari.
Per essi l’unica soluzione è la chiusura definitiva.
La battaglia contro il pacchetto sicurezza quindi è già cominciata e vede nella rivolta di Corelli una risposta puntuale e, con essa, un appello esplicito alla mobilitazione il più estesa possibile.
Venerdì 21 agosto dalle ore 9, nel momento in cui si svolgeranno le udienze per direttissima dei 14 detenuti, é importante che ci sia la presenza più ampia possibile, unica possibilità di dare sostegno ai detenuti e, allo stesso tempo di permettere che nel processo stesso emergano le ragioni inalienabili di questa ennesima ribellione.
Non abbiamo alcun dubbio nell’affermare che chiunque si ritenga davvero antirazzista e ambisca a cancellare il “pacchetto sicurezza”, non potrà esimersi dal dare il suo contributo e organizzarsi per essere presente venerdì mattina.
Comitato antirazzista milanese