Complesso Marchesi, la storia di uno spazio e di un tempo: architetti da tutta Italia alla conferenza contro la demolizione.

Pisa_Ieri mattina si sono riunite al complesso “Concetto Marchesi” tutte le associazioni, a livello nazionale, contrarie alla variante di Piano Strutturale adottata dal comune di Pisa a Maggio (delibera n°28/2009), che prevede, tra le altre cose, la demolizione del complesso scolastico Marchesi (in particolare si veda la scheda-norma 5.6).
 
Erano presenti il Comitato Pellegrin, l’Ordine degli Architetti di Roma, la Fondazione Bruno Zevi, Legambiente Pisa, Biblioteca Serantini, ArtWatch Italia, Organism, Chandra Editrice, il Centro Studi Gilberto Guidi di Pisa, Docomomo Italia.
 
La conferenza ha esposto la storia dell’edificio, ha espresso dubbi e perplessità riguardo le decisioni comunali – attraverso i numerosi interventi di architetti e urbanisti -, con l’obiettivo di riaprire un percorso partecipativo all’interno della città.
In primo luogo, è stato proiettato un video dal titolo “Visione realizzata di un brano di città. Il Complesso Marchesi di Luigi Pellegrin a Pisa”, a cura di Organism-laboratorio di arte e architettura.
 
Il video accosta interviste ad architetti e urbanisti, fantasiosi disegni del progetto di Pellegrin, che ne esprimono la fecondità di contenuti, e immagini dell’odierna struttura. Ne viene così ripercorsa la storia fin dalle origini: il concorso internazionale bandito dalla Provincia di Pisa, vinto appunto dall’architetto Luigi Pellegrin, che tra il 1971 e il 1976 realizzò il complesso. Un bando innovativo, come testimonia Renzo Moschini, allora Presidente della Provincia, – che chiedeva di tener conto della posizione dell’area, vicino al monte pisano, e che prevedeva che la scuola avrebbe ospitato consigli di quartiere – al quale fu data una risposta altrettanto innovativa, nell’obiettivo di saldare la città esistente con la città che doveva nascere (Pisanova, Cisanello).
 
Pellegrin ideò infatti un’opera di architettura sociale che teneva conto delle esigenze della città: si prevedeva una fruibilità collettiva degli spazi e una loro autogestione (passeggiata sul tetto, accessi liberi, impianti sportivi, spazi per associazioni e spazialità libere per l’uso dei cittadini), rispondendo anche agli studenti che chiedevano un rapporto più comunicativo (trasparenze degli spazi, auditorium-biblioteche-aule accostate da pannelli mobili che creano un paesaggio fluido come quello naturale, spazi di aggregazione esterni).
 
L’attraversamento, i flussi, l’incontro: queste erano le parole chiave del luogo che si andava a definire – la cosiddetta prima “scuola aperta” -, contrapposte all’inquadramento del modello ottocentesco delle scuole, che riprendeva la struttura delle caserme. Si pensa a un luogo della città, senza un’unica destinazione specifica. Dopo qualche anno dall’apertura del complesso però furono trovate siringhe negli spazi aperti, così gli accessi furono sbarrati, in un luogo nato per essere aperto e autogestito.
 
Innovativa non era soltanto la concezione, ma anche le tecniche costruttive e i materiali adottati. La tecnica della prefabbricazione, utilizzata magistralmente da Pellegrin sfruttandone i vantaggi di velocità e costi, ha dato vita ad un ambiente articolato e diversificato, evitando gli effetti di standardizzazione e massificazione, gli spazi “a scatola” che siamo soliti immaginare quando si parla di prefabbricazione.
 
Questo e molto altro nel filmato, denso di riflessioni e molto emozionante, perché intriso dei contenuti del progetto Pellegrin, che costituisce probabilmente il risultato più alto di una lunga ricerca da lui condotta nell’ambito dell’edilizia scolastica, e che ha prodotto una radicale innovazione nel modo stesso di concepire l’istruzione nel nostro paese.
L’opera è considerata un caposaldo dell’architettura scolastica in Italia ed è menzionata nelle enciclopedie (a iniziare dal Dizionario dell’architettura italiana del XX secolo dell’Istituto Treccani, vol. 3°, p. 1929).
 
Nota dolente: Pellegrin impiegò materiali "veloci", caratteristici delle strutture autostradali, che necessitavano particolari processi di impermeabilizzazione, che non furono fatti.
Ai problemi di realizzazione vengono ad aggiungersi quelli di manutenzione, mai avvenuta. Recentemente si sono iniziati interventi di “ristrutturazione e coibentazione coperture metalliche” (per un importo di 1.434.946 euro), ma è l’approccio stesso ad essere errato, afferma Pierotti (Urbanista-Univ.Pisa, Artwatch): non è possibile fare una manutenzione del complesso come per gli spazi piccoli, tanti sono gli inconvenienti da rimuovere – facilmente risolvibili con le tecnologie in uso – ed è anzi strano che in trent’anni di gestione essi non siano stati ancora rimossi (alcuni esempi: insoddisfacente impermeabilizzazione del manto di copertura, scarsa insonorizzazione delle pareti mobili, scarsa coibentazione e simili). Sarebbe utile in proposito che gli incentivi pubblici per cambiare gli infissi fossero estesi anche a soggetti pubblici, oltre che privati.
 
I nodi critici sono anche altri: l’assenza di un’impresa che si occupi delle pulizie degli spazi esterni, condotte di acqua calda senza rivestimenti, vetro rotto da tempo nella palestra, etc.. insomma cose da fare ce ne sono, conclude Pierotti nel suo intervento d’apertura, ma il complesso, alla luce di una sua restaurazione, potrebbe essere un punto di riferimento culturale fondamentale della zona, data la veloce espansione dell’area di Pisanova.
 
Bertolucci (Biblioteca Franco Serantini) focalizza l’attenzione sui concetti cardine che dovrebbero stare alla base di ogni comunità: cultura, salute, socialità. La demolizione prospettata non tiene conto della storia della città, della sua memoria. Non viene previsto dove saranno alloggiati i servizi attualmente presenti nella struttura. Alla Bfs, ad esempio, a fine mese scade il contratto di convenzione e dunque non si sa neanche dove sarà il prossimo anno con il suo vasto patrimonio librario e documentale. Manca un’idea della città – prosegue Bertolucci -, si insegue solo il profitto; mentre c’è una storia sociale che l’edificio porta con sé, da preservare e tutta da rilanciare. Le istituzioni devono confrontarsi con questo, conclude.
 
Legambiente-Pisa coglie la complessità dell’ambiente urbano e si inserisce in questa battaglia per la difesa della valenza sociale e architettonica della struttura, la cui demolizione comporterebbe inoltre la perdita di verde urbano e nuove edificazioni: le scuole sarebbero infatti ricostruite davanti all’Esselunga, nell’unico spazio verde della zona, adibito dal Regolamento urbanistico a parco urbano (con l’unica eccezione di una parte dedicata a una nuova sede della Provincia, ma questo progetto è sfumato).
 
L’architetto Schiavetti ha tracciato il panorama prospettato dalla variante: edilizia residenziale, 240 alloggi di circa 65m² ciascuno. L’area adiacente al complesso Marchesi è già investita da una densissima urbanizzazione residenziale, dunque si andrebbe a creare un’area omogenea di sole abitazioni, e in questo non c’è proprio niente di “riqualificazione urbanistica”. Resterebbero in piedi palestra e piscina, che ovviamente senza il resto perdono tutto il loro senso.
L’architetto accenna anche un fatto “curioso”: nelle schede del Comune di Pisa, la destinazione dell’area prevede spazi commerciali piuttosto che abitazioni!
 
Interviene poi l’Ingegner Carluccio della Provincia, che precisa di parlare a titolo personale e non nelle sue funzioni di dirigente della Provincia. Carluccio lamenta che vengono spesi tanti soldi in questa struttura, ma non se ne vedono gli effetti. E aggiunge: “Le richieste che ci arrivano dalla società sono di separazione e controllo, non si è ancora pronti a questi tipo di apertura”. Critica il mancato invito delle istituzioni (provincia e comune) e la poca presenza di insegnanti, presidi, cittadini, ma le viene subito risposto che le Istituzioni erano state invitate, ma evidentemente non c’è stata la volontà di partecipare. Sulla presenza della cittadinanza, invece, c’è ancora molto da fare, dicono gli organizzatori della Conferenza, che intendono portare avanti un percorso di sensibilizzazione e informazione.
 
E’ presente anche l’Associazione Medici per l’ambiente, che condanna le opere previste nella variante, in quanto vanno tutte a danno della salute, degli spazi verdi. Si ribadisce la necessità di una valutazione ambientale strategica.
Interviene poi Alessandra Peretti, insegnante in pensione: ha insegnato dal 1976 al 2001 all’Istituto Santoni presso il complesso Marchesi e ricorda che i problemi sono nati non appena l’istituto ha aperto le porte, già dal primo inverno c’erano le infiltrazioni. “Gli anni ’70 erano un’epoca di sperimentazione anche scolastica”, dice, “ma con la riforma tanto attesa, la legge Berlinguer, la scuola si è avviata alla disintegrazione e la vita nell’edificio è stata sempre più difficile anche per questa sconfitta”.
 
Gli interventi si susseguono numerosi, la conferenza diviene una grande assemblea, che termina con i propositi di incontrarsi nuovamente, di cercare di confrontarsi con le istituzioni e di avvalersi anche di strumenti di ricorso giuridico per combattere le decisioni comunali – verranno preparati i ricorsi al Tar.
 
L’idea della demolizione raccoglie la richiesta informale dell’allora assessore provinciale ai lavori pubblici Gabriele Santoni, il quale proponeva, in una intervista rilasciata al quotidiano “La Nazione” il 27 gennaio 2009, di demolire e destinare a residenza o attività turistiche ricettive non solo questa ma altre due scuole superiori di proprietà della Provincia (Istituto Professionale e Istituto Tecnico Industriale).
 
Le motivazioni avanzate a favore della demolizione traggono linfa dalle difficoltà legate alla manutenzione di una struttura di così grandi dimensioni e si parla di un progetto di “riqualificazione urbana” dell’area. In realtà, si tratta di una scelta dettata da corposi interessi speculativi, che non esita a sacrificare una testimonianza tanto importante dello sforzo di modernizzazione civile del nostro paese.
 
E la domanda che ci si deve porre allora non è “il complesso Marchesi è bello? Si potrebbe fare qualcosa di meglio?”. L’opera irriproducibile, dall’alto livello d’innovazione, è, che si voglia o meno, un’opera di architettura contemporanea, e non ha perciò minore dignità delle opere del passato, appartiene alla cultura nel suo divenire. Anche se questo non è affatto assimilato dall’opinione pubblica e spesso neanche da chi dovrebbe intendersene: si pensa infatti che l’architettura contemporanea appartenga esclusivamente alla sfera del consumo, del costruire, ma così non è.
 
La domanda che ci si deve porre è invece: “E’ ancora vivo il ruolo (sociale, educativo) di questo edificio? Se no, quali restaurazioni fare per attribuirgli un nuovo ruolo?”. Le risposte verranno e saranno tante, viste le forze espresse alla conferenza.
 
La grande scommessa è riuscire a comunicare tutto questo alla cittadinanza – la valenza sociale dell’edificio e le sue potenzialità – perché è evidente che tra il progetto sulla carta e la concreta vita della struttura si è creato un divario sempre più ampio, che facilita prese di posizione a favore del progetto comunale, se non si ha una completa visione della questione. Parlare con i cittadini e con chi quegli spazi li vive, o potrebbe viverli. Mobilitare davvero una città, non soltanto in difesa di una struttura, ma per la rivitalizzazione di un luogo.
 
Zeliha P.
 
Questa voce è stata pubblicata in Cronaca Pisana. Contrassegna il permalink.