Spari contro migranti in Calabria: la rabbia scende in strada a Rosarno.

Migranti presi a pallettoni da auto in corsa. A Rosarno ore di guerriglia, gli invisibili di colpo, per i media, danno vita alla rivolta in strada.

Le condizioni di vita dei migranti nei campi agricoli calabresi è sempre stata terribile. A Rosarno, come nella piana di Gioia Tauro o nella piana di Sibari, i migranti sono costretti a lavorare 14 ore per 20 euro. Senza diritti e senza alcuna prospettiva di emancipazione.

E’ una vergogna che tutti conoscono e che tutti tacciono. Governo regionale e governo nazionale non sono capaci di dare risposte, presi troppo dalla necessità di difendere interessi e voti. Proprio ieri Maroni era in calabria a fare una conferenza stampa per dire che nella legge italiana sarà presente la parola ‘ndrangheta insieme alla parola mafia. Ogni calabrese non può che sorridere dinnanzi a cotanta presenza dello Stato… Alfano, anch’egli ieri a Reggio ha detto che le parole pesano come pietre. L’unica pietra che pesa è quella scagliata contro tutto e tutti da gente disperata, abbandonata da tutti e costretta a sopravvivere nella giungla calabra. 

"Ma i diritti negati a centinaia di persone costrette a vivere in un capannone abbandonato a centinaia, o le condizioni di vita e di ricatto a cui sono sottoposti giornalamente, non sono gestibili in una regione con grave crisi socio-culturale e con forte presenza di massoneria e ‘ndrangheta. Così ecco che, visto che nessuno interviene per salvarli, sono costretti a difendersi da soli. 

Sono ghaneani, sudanesi, ivoriani, senegalesi. Vengono dal Togo,dalla Mauritania, dal Congo. Ma da anni sono tutti ‘italiani’. Persopravvivere. Per resistere. Per sfamarsi. Ogni giorno riescono aprendere quasi 20 euro, per dodici anche quattordici ore piegati indue a raccogliere le arance più profumate della Penisola e imandarini – le clementine – più dolci.

Dicono che sono tremila, qualche volta diventano quattromila eforse anche di più. A Rosarno i calabresi sono appena inquindicimila. Quasi il novanta per cento del popolo nero che sitrasporta come gli animali in branco non ha ancora trent’anni. Sonouomini, solo uomini. Gli ultimi sono ultimi perché non hanno mai avuto un tetto tuttoper loro. Dormono nelle fabbriche abbandonate della Calabria deglisperperi e delle ruberie di mafia e di Stato. Scheletri in mezzo alnulla. Si accampano fra i pilastri arrugginiti di cemento sullacosta, nelle masserie, in riva al mare. Rosarno è comeCastelvolturno. Come Campobello di Mazara. Come tutta l’Italia chehanno sempre conosciuto. Il campo e il sonno.

È dal 1992 che vengono in questa Piana quando la zagara, il fioredell’arancio, stordisce con il suo profumo. Non hanno mai freddo enon hanno mai caldo. Non hanno mai un contratto. I ‘caporalì liprendono all’alba sui furgoncini, come al mercato del bestiamescelgono i più forti. Ogni 20 euro guadagnati ce ne sono 5 perloro: per i soprastanti che li fanno lavorare. È il pizzo che sifanno pagare i miserabili. E poi loro, per tre o quattro settimaneracimolano il loro gruzzolo per non morire.

Non hanno documenti, non hanno passato. Solo la giornata conta: lagiornata nel giardino di aranci.
Quelli del Magreb hanno trovato sette case pericolanti fuori dalpaese, sulla strada per San Ferdinando. I sudanesi stanno daun’altra parte, sotto un grande tendone dove hanno sistemato isedili squarciati di vecchie auto e i copertoni di un camion comecomodini. E i senegalesi stanno ancora più in là, vicinoall’inceneritore, in uno stabilimento che un tempo raffinava l’oliod’oliva. "Io dormo qui", raccontava un anno fa Stephan, unragazzino di vent’anni. Qui è l’oblò di un silos dove una voltaconservavano l’olio. Un cilindro metallico dove Stephan ha portatotutta la sua vita: la coperta, un paio di scarpe, un corano, unfornello dove ogni tre o quattro sere riesce a far cuocere qualchepezzo di agnello e un pomodoro. Stephan non ha acqua. Stephan nonha un bagno. Ce ne sono tanti come lui acquartierati anche versoGioia Tauro e il suo porto, altri si sono dispersi versoRizziconi.

Tutti hanno visto per la prima volta l’Italia dagli scogli diLampedusa. Imbarcati come merce ad Al Zuwara, nella Libia piùvicina alla Sicilia. E sbarcati come clandestini in Europa. Ci sonoi neri più fortunati, quelli che hanno trovato un capannone cometetto per la notte. Ogni capannone ha una scritta di vernice chericorda il luogo di partenza di ogni gruppo: Dakar, Rabat, Fes,Mombasa. Nei capannoni i letti sono di cartone. Anche Yasser ha ilsuo letto di cartone fradicio. L’aveva in Puglia due mesi fa, cel’ha qui a Rosarno. "Ci dormo poco", racconta. All’alba è già fragli aranceti. E solo al tramonto torna nel capannone dove c’è lascritta Casablanca. E dice: "Vivo nella paura, la paura di farsapere alla mia famiglia come vivo qui in Europa".

È da quasi vent’anni che il popolo degli ultimi vaga di terra interra per l’Italia. Nel silenzio, nell’indifferenza. Nessuno lodice mai chiaramente ma sono le ‘ndrine, le famiglie della mafiacalabrese, che più di tutte succhiano il sangue agli ultimi. Le’ndrine che hanno le arance, che hanno tutto nella Piana. I mafiosili aspettano al passo, dopo Natale. Quando è tempo diraccolta." (repubblica.it)

Libertà e dignità per ogni essere umano. 

C.Muraglione

 

Questa voce è stata pubblicata in Migranti. Contrassegna il permalink.