Elettronica e tecnologie digitali nella musica contemporanea. Intervista ad Autobam

«Per me la musica elettronica diventa una cosa puramente emotiva […]. La mia speranza è che chi sente la mia musica non si faccia fuorviare dai pregiudizi sulla “freddezza” della tecnologia, ma che in qualche modo usi lo stesso metro di giudizio che userebbe sentendo qualsiasi altro tipo di musica.»
 
Chi è Autobam?
 
Autobam è Simone Lalli. Vivo a Livorno, e ho iniziato suonando la chitarra come fanno tanti gruppi, nei garage. Poi ho suonato con i Flora e fauna per un po’ di anni, facevamo una sorta di post-rock un po’ strumentale, un po’ cantato. Finita quell’esperienza ho iniziato da solo.
 
Cosa è per te la musica elettronica?
 
Quando ho iniziato ad ascoltare musica elettronica ero affascinato dai primi compositori, più o meno di ambito accademico, che venivano fuori dalla scuola degli anni 50/60, la scuola dei concreti, la scuola tedesca di sintesi del suono, tipo Karlheinz Stockhausen. Parallelamente con un po’ di ritardo ho scoperto l’elettronica: non quella ufficiale, ma quella di ambito warp dei clubs, techno e derivati. Adesso l’elettronica è una cosa così ampia che è difficile da definire con un termine secco: ora è veramente qualcosa di più vasto. L’elettronica è considerata una musica “fredda”, perché sembra un qualcosa di più mediato dalla tecnologia, perché si usano strumenti meno immediati di una chitarra, fatta di legno e corde. Per me la musica elettronica diventa una cosa puramente emotiva: una volta che hai costruito tutto il lavoro quello che deve venir fuori, cioè quello che io spero venga fuori, dovrebbe essere qualcosa che non va giudicata “fredda” perché viene fatto con un certo tipo di software, di pc. La mia speranza è che chi sente la mia musica non si faccia fuorviare dai pregiudizi della “freddezza” delle macchine, ma che in qualche modo usi lo stesso metro di giudizio che userebbe sentendo qualsiasi altro tipo di musica.
 
E, ci pare, tu riesci bene a trasmettere queste emozioni attraverso la tua musica…
 
Io cerco in qualche modo di raccontare le cose che mi colpiscono, le cose che vedo, le cose che non vedo e vorrei vedere… La mia realtà o quello che capto dalla realtà è una realtà che non c’è, che costruisco. Un po’ quello che succede nell’animazione: si prendono dei pezzi di mondi e sopra ci costruisco altri pezzi di mondi; e questa è l’ispirazione forte della musica che provo a comporre.
 
Come vedi la scena in Toscana e dintorni?
 
La vedo bene. Conosco un sacco di gente che fa cose e le fa bene: per esempio gli Ether, penso siano una delle realtà più interessanti; i Retina; i Metuo, che hanno già fatto un disco, sto collaborando con loro e devo dire che fanno belle cose. Quello che manca è la base per tenere insieme queste realtà, per presentarle a un pubblico il più vasto possibile, perché non si esauriscano. Ma questo non è semplice.
 
Non ci sono tanti mezzi di sovvenzione dell’arte. Il tutto va avanti con la logica dell’autoproduzione, ci sembra. Cosa ne pensi?
 
In realtà si potrebbe avere accesso a qualche finanziamento dalle istituzioni, ma a me non è mai capitato. In Italia è molto do it yourself , almeno per quanto mi riguarda nella mia esperienza italiana. Magari ci sono realtà che non conosco dove questa cosa è possibile. Lo vedo collaborando con Quayola, un visual designer italiano che vive a Londra: lui riesce ad avere sovvenzioni dall’Inghilterra e anche dalla Francia. Lì ci sono istituzioni che lavorano a 360°, attraverso le quali si riesce a trovare un po’ di fondi per pubblicare lavori, presentare eventi.
 
Cosa c’è sul tuo tavolo di lavoro?
 
Tantissimo software, per comodità, perche costa poco o nulla. Se avessi la possibilità userei anche vecchi sintetizzatori, poi uso molti plug-in e sopratutto Ableton Live che è la piattaforma sulla quale monto le tracce e faccio i liveset. Chi lo usa sa che è uno strumento che ti permette una flessibilità che nessun sequencer ha ancora raggiunto, si usa come una groovebox. Poi ho un sintetizzaztore Korg MS2000 abbordabilissimo che costa poco.. Ho veramente poche cose, tutte nella mia camera, non ho uno studio.
 
Anni fa c’erano i talent-scout che cercavano l’artista. Ora accade il contrario…
 
Siamo passati dall’autoproduzione che è una cosa fantastica, sanissima, all’autopromozione a tutti i costi, forsennatamente, perché lo spazio è saturo. E questo non mi piace: sui vari social network sembra veramente che ci sia una specie di guerra all’ultimo minuto per autopromuoversi costantemente. È una cosa che mi stanca, sia come artista che come fruitore.
 
Continuiamo a parlare di te. Hai fatto progetti insieme ad altri musicisti?
 
Sì. Elec è stata una bella cosa: un collettivo nato da ragazzi del nord-est, zona Bassano del Grappa. Il tentativo era di creare una cosa un po’ ibrida tra un’etichetta, un network come piattaforma sul web che convogliasse un po’ di energie nell’ambito dell’arte digitale, elettronica. Per un po’ ci ha dato visibilità nei festival italiani; poi l’esperienza si è esaurita per impegni personali e di lavoro.
 
Nella storia le più importanti rivoluzioni musicali sono avvenute quando strumenti più antichi sono stati soppiantati da nuove invenzioni: il clavicembalo diventa organo e poi pianoforte, il liuto diventa chitarra a sei corde, ecc. Nascono nuovi suoni e automaticamente si creano nuove emozioni, nuovi sentimenti. Secondo te l’uso della tecnologia negli ultimi anni ha iniziato una nuova rivoluzione musicale?
 
L’elettronica per definizione scolpisce nuove frequenze, e quindi agisce sullo spettro sonoro a cui è abituato l’orecchio umano, che è tarato in qualche modo per sentire frequenze che vanno in linea di massima da 20 a 20.000 hertz. E ognuno ha una sua linea uditiva. Dentro questi limiti gli strumenti tecnologici che ci sono oggi vedono possibilità infinite. Però poi allo stesso tempo, secondo me, ciò che le emozioni che la musica riesce a muovere sono sempre le stesse. Al di là delle emozioni, è proprio una specie di architettura della musica che puoi costruire: col pc, col violoncello, è indifferente. Anche il fatto di poter uscire dal sistema tonale, o di avere un’oscillazione di tono infinitesimale… anche una cosa del genere effettivamente ci dice che una rivoluzione c’è stata. Provo a mettermi nei panni di chi ascolta per la prima volta la musica elettronica, e penso che ci vuole un minimo di senso dell’astrazione in più per ricollegare e mettere insieme i pezzi. Un po’ come nella storia della pittura si è passato dal naturalistico all’astratto. Anche se anche questo esempio è paradossale, perché la musica non la vedi; per cui non c’è nessuna differenza tra la musica elettronica e la chitarra, sempre frequenze sono. Però la chitarra è legata ad un insieme di situazioni di vissuto personale ed emotivo che una persona fa subito sue, mentre nell’elettronica ci vorrà ancora un po’ di tempo a far sì che tu possa ascoltare, per esempio, i Pansonic come Lucio Battisti. Io riesco a metterli sullo stesso piano, questa è la mia visione.
 
Progetti futuri?
 
Tracce nuove, un live nuovo; vorrei pubblicare qualcosa, sto valutando le etichette possibili.
 
 
 
A cura di Rozz E. & Desmond G.
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