C’è chi annega e chi rinnega. Gianfranco Fini allo specchio.

Classe 1952. Presidente di Alleanza Nazionale per tredici anni, dalla fondazione nel1995 fino al 2008. Vicepresidente del Consiglio dei ministri dei governi Berlusconi II e III; nel III, Ministro degli Affari Esteri. Dal30 aprile 2008 è Presidente della Camera dei deputati. Chi è?

Gianfranco Fini è un uomo che passa i primiquarant’anni della propria vita a esaltare il fascismo, a tenerne in vita la memoria celebrando ogni 28 ottobre la marcia su Roma, per poi convertirsi alla democrazia, dopoaver fatto il candidato a sindaco di Roma nel 1993, non senza proclamare in quello stesso anno che "Mussolini è il più grande statistadel secolo", che i gay non dovrebbero insegnare, che da nazionalista convinto non poteva "mai e poi mai" stringere patti con la Lega.

Nel 1994, anche se Fini non farà personalmente parte del governo Berlusconi, per la prima volta nella storia della Repubblica l’esecutivo conterà quattro ministri appartenenti al suo partito. l’anno successivo la svolta del congresso di Fiuggi (25-29 gennaio 1995) segna una radicale trasformazione del Movimento sociale italiano e Fini, con grande opportunismo, rinuncia ai simboli fascisti, mette in soffitta il MSI e fonda Alleanza nazionale. Netta la distanza dal fascismo. Rauti, Erra, Staiti e pochi altri vanno via dal partito per fondare Fiamma Tricolore. E’ solo l’inizio di milletravestimenti e giravolte.

Disprezzatodalla destra dura e pura che lo vede come un "traditore", Fini prova a vestire diversi abiti finché non ne trova uno che gli stia comodo, come quello cucitogli addosso in tempi recenti da Repubblica, quello di "eroebuono" appunto. Ma in realtà il Fini di governo è quello che sta nellasala operativa nei giorni del G8 di Genova nel 2001, che nel 2002 promuove l’inumana legge Bossi-Fini sull’immigrazione (vedi approfondimento a cura di Aut-Aut), nel 2006 la Fini-Giovanardi sugli stupefacenti (vedi approfondimento a cura di Aut-Aut), che vota silenziosamente tutte le leggi ad personam fino allo splendido 2007 che si chiude con la nascita del Pdl e Fini che dice: "Non c’è nessuna possibilità che An entri nel Pdl". Salvo accomodarsi docilmente sul predellino due mesi dopo, ottenere lo scranno di presidente della Camera e da lì fare i comodi propri, incurante della delicatezza del ruolo istituzionale che svolge.

Ci interessa ora porre l’attenzione su due questioni in particolare: il ruolo di Fini durante il G8 del 2001 e le posizioni da lui espresse in merito al tema della cittadinanza agli stranieri. La prima perché inscindibile da una delineazione complessiva della figura politica di Fini nell’intento di comprenderne la reale connotazione; la seconda in quanto motivazione addotta della presenza stessa di Fini a Pisa.

Genova 2001. Noi non dimentichiamo. Nel 2001 Fini era vice presidente del consiglio efu protagonista di una insolita e poco chiara lunga sosta nella sala operativa della Questura genovese. Considerando che il presidente Berlusconi in quei giorni era chiuso nell’enclave della zona rossa, Finiera in quel momento capo effettivo del governo. Ed esercitò per dieci ore le sue funzioni dalla caserma dei carabinieri di Genova. Quindi informato in presa diretta sugli avvenimenti della piazza, non fece nulla per arginare l’aggressività crescente fra i reparti operativi della celere, addetti in quei tre giorni all’ordine pubblico, ma bensì tacque, appoggiò e plaudì la gestione di piazza che di fatto portò in quei giorni alla sospensione dei diritti di cittadinanza, visto che finite le manifestazioni, per i militanti no-global era praticamente impossibile girare per Genova senza incappare in veri e propri “rastrellamenti” fatti dalle forze dell’ordine.

Per capire che tutto questo rispondeva a una logica militare pressoché golpista, basta guardare a come ci si è organizzati: 18 mila poliziotti schierati, tre carceri svuotate per fare posto a cinquemila possibili arresti, duecento body bags (sacchi per cadaveri) comprate, unospedale attrezzato a camera mortuaria, un decreto che sospendeva ogni possibilità di colloquio tra i fermati e i loro legali.

Cittadinanza del 21° secolo.Un altra questione, portata avanti da Fini negli anni più recenti, adesso si è espressa in uno scontro politico diretto, tutto interno alladestra, tra “finiani” e non. La cittadinanza. Incuriosisce molti il fatto che Gianfranco Fini sostenga la proposta di legge 2670/2009 che apporterebbe cambiamenti alla normativa in materia. E proprio su questo l’onorevole è stato chiamato ad esprimersi al convegno dell’Ateneo pisano, a conclusione del ciclo di letture organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza sul tema "Cittadini e migranti", con un intervento dal titolo "Immigrazione e diritti di libertà nell’era della globalizzazione". Ma non è affatto strana la posizione di Fini, se inquadrata in un ragionamento più generale.

"In Italia la legge sulla cittadinanza necessita, a mio avviso, di essere rivista per favorire pienamente un percorso di integrazione che, al di là di elementi solo formali, come il mero trascorrere di un certo periodo di tempo, testimoni la volontà concreta dell’immigrato di partecipare al destino comune che lega tutti i componenti della società politica di cui entra a fare parte", ha affermato Fini questa mattina.

Attualmentein Italia, la cittadinanza è regolata dalla legge 91/1992 ed è sostanzialmente fondata sullo ius sanguinis, in forza del qualeil figlio nato da padre o da madre italiana è di per se stesso un cittadino italiano. Sono tuttavia previsti altri casi in cui la cittadinanza può essere concessa ad un cittadino straniero, al quale viene sostanzialmente riconosciuto il suo effettivo radicamento nel territorio dello Stato italiano. La stessa legge ha previsto che la cittadinanza potesse essere acquisita dallo straniero nato in Italia e che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla stessa data.

La proposta di legge 2670/2009, primi firmatari Andrea Sarubbi e Fabio Granata, ma sostenuta da numerosi parlamentari sia del centro destra che del centro sinistra, si presume arriverà in aula a Montecitorio a Giugno. La relazione della proposta dilegge evidenzia “due capisaldi” della normativa: “da un lato mira a fare sì che il minore nato in Italia da un nucleo familiare stabile acquisisca i pari diritti dei coetanei (…). Questo si ottiene passando dall’attuale principio dello jus sanguinis (diritto del sangue), al principio dello jus soli (diritto del suolo). L’altro caposaldo prevede che la cittadinanza divenga per lo straniero adulto un processo certo, ricercato e formativo”. Si dice che è necessario garantire una gestione dei flussi di ingresso “ordinata e tale da evitare l’ingenerarsi nella popolazione residente di allarmismi e di paure” e, allo stesso tempo, è necessario “impegnarsi nel supportare chi ha deciso di stabilirsi nel nostro Paese e di intraprendere un cammino volto a raggiungere la piena integrazione sociale, civile e culturale”.

Si parla di “cittadinanza breve”: si propone la riduzione da 10 a 5 anni del periodo di tempo necessario a uno straniero per poter chiedere di diventare cittadino italiano. Il testo è decisamente in linea con quanto da tempo sostenuto da Fini, che è tornato sulla questione avanzando l’ipotesi di un percorso preciso per l’ottenimento della cittadinanza, che passi dalla conoscenza della lingua e della storia del nostro Paese come da un giuramento sui valori della nostra Repubblica. Che è proprio quanto contenuto nella proposta.

Citiamo in proposito dal sito di Farefuturo,fondazione presieduta da Fini, l’idea di cittadinanza propugnata (e la funzione di tale scelta):

“… costruiamo una cittadinanza del ventunesimo secolo. L’appartenenza alla nazione non discende esclusivamente da un retroterra etnico o religioso,in special modo in Italia, terra di incroci e contaminazioni tra l’Europa e il Mediterraneo, nazione dalle mille culture e tradizioni. Piuttosto, al tempo contemporaneo, l’appartenenza alla nazione è un attovolontario di amore verso il paese nel quale si è nati o che si è scelto come propria Patria. In questo senso la nazione è per noi la sintesi fra una leitkultur, una cultura prevalente che è risultato di secoli di storia, e una dimensione “universalistica”, che rimanda a valori che la nostra cultura considera appunto universali quali la libertà e la dignità dell’individuo. Far sentire, conseguentemente, l’Italia come Patria anche a coloro che vengono da Paesi lontani, facendoli partecipi attivamente e lealmente alla vita collettiva, ai valori della Repubblica, agli obiettivi di fondo della nostra società, alla nostra lingua, alle nostre leggi ed anche alla nostra storia. Promuovere un’educazione alla cittadinanza così intesa, a partire dalla scuola pubblica, che nei decenni della storia repubblicana ha progressivamente e colpevolmente abdicato a questa funzione. “Nuovi” e “vecchi” italiani possono ritrovarsi uniti nella valorizzazione delle reti di solidarietà civica, motore di capitale sociale, nella nuova prassi della cittadinanza; compito delle istituzioni pubbliche, senza timori, senza cedimenti al lato disgregante dei localismi, è quello di favorire una pedagogia della cittadinanza come grammatica dell’appartenenza alla Nazione.”

Complessa, non di facile lettura, sicuramente innovativa, questa idea rischia di passare come la soluzione buona nei confronti dell’immigrazione regolare. Perché ricordiamo che per Fini e co. la migrazione irregolare, clandestina, è criminalità. Si parla ora esclusivamente degli stranieri in regola. Sulla Bossi-Fini, infatti il Presidente della Camera ha detto: "Quella legge la rifarei uguale, ma cambierei una cosa sola: sei mesi di tempo per ritrovare un lavoro oggi mi sembrano pochi; vista la congiuntura economica andrebbe previsto almeno un anno". "Il principio ispiratore di quella legge per cui entra in Italia solo chi ha un lavoro lo ritengo ancora valido".

E’ importante cogliere la netta separazionesemantica e concreta tra le due migrazioni: regolari – legalità – famiglie – da integrare nella Nazione (ma sempre con certi parametri da rispettare); irregolari – clandestini – criminali- da rinchiudere -d a respingere.

Il modello proposto è quello assimilazionista, che include nuovi cittadini sotto il cappello della Patria, “nuovi Italiani”, e allo stesso tempo esclude categoricamente tutto ciò che ne resta fuori. Un discorso estremamente pericoloso e quanto mai razzista. Altro che innovatore.

Zeliha

 

P.S: Ringraziamo il CollettivoAula R per aver contribuito al titolo di questo articolo!

Questa voce è stata pubblicata in Politica interna. Contrassegna il permalink.