Pisa città precaria

equilibrio precario

In una città come Pisa, dove l’economia è
principalmente impiantata sui servizi e quindi sul settore terziario, le
pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici sono i principali erogatori di
lavoro e di precarietà.

Un ruolo fondamentale nella
precarizzazione del lavoro in città è giocato dall’Università, dai poli
d’eccellenza ( Scuola Normale e S.Anna), dalle pubbliche amministrazioni e
dalla Sanità. Queste aziende precarizzano con procedure d’acquisizione di
lavoro esterno, per mezzo di contratti diretti
(atipici o a tempo
determinato) oppure servendosi di lavoratori “in affitto”procurati dalle agenzie
di lavoro interinale. Nel caso in cui le aziende hanno bisogno di più
lavoratori o lavoratrici, assumono forza lavoro delle cooperative ,che arrivano
a gestire un servizio tramite licitazioni private o appalti pubblici fatti
nell’ottica dell’ offerta economicamente più vantaggiosa (molto vicina al
meccanismo del massimo ribasso) : questo sistema di gare incentiva la drastica
riduzione dei diritti e del salario dei lavoratori poiché se si risparmia lo si
fa sulle risorse umane ,incentivando un
sottobosco di ditte e cooperative varie, che per aumentare i profitti e/o per
sopravvivere nella generale deregulation delle offerte, diventano i tramiti
diretti al pari delle agenzie interinali, della negazione e della distruzione
dei diritti del lavoro.


 

Particolarmente complessa è
la situazione del lavoratore della cooperativa nella gestione del duplice
rapporto di lavoro che lo riguarda: da una parte la dipendenza dall’ente
appaltante, che può essere più o meno vessatoria in termini di prestazione dei
tempi di produzione; dall’altra il rapporto con la cooperativa, a cui può
essere legato da un rapporto di semplice prestatore di manodopera precaria
grazie ai contratti co.co.co, co.co.pro.,con diverse modalità di cottimo o
dipendente determinato o indeterminato( sull’indeterminatezza si può discutere
a lungo vista la possibilità della cooperativa di poter mettere in lavoratore a
zero ore nei momenti di difficoltà dell’impresa). Se il lavoratore è anche
socio della cooperativa il ruolo di socio prevale su quello di lavoratore, con
tipologia contrattuale identica al non socio, ma con minori tutele, visto che
per questa figura di lavoratore non è
applicabile l’art. 18 , subentrano anche per l’associato i vari corollari di fideizzazione e di
condivisione dei destini della causa comune, che comportano auto-sfruttamento e
estrema difficoltà a far nascere conflitti per il miglioramento delle condizioni
di lavoro all’interno della “sua” cooperativa.

I lavoratori esternalizzati
siano essi assunti direttamente dal dirigente di turno o dalla cooperativa, si
trovano così vicini ai colleghi “di ruolo” a svolgere le medesime mansioni (spesso con preparazioni
specifiche e rendimenti di gran lunga superiori a quelli degli stessi strutturati),
ma con contratti sfavorevoli sotto il profilo della retribuzione e dei diritti
e per di più flessibilizzati negli orari e nella produttività.

In questo contesto, i
sindacati confederali sono doppiamente collusi
con il sistema di estrema precarizzazione, perché se da una parte loro stessi hanno
auspicato e appoggiano la flessibilità del lavoro sin dai tempi del “pacchetto
Treu”, dall’altra ci sono veri e propri patti di non belligeranza tra
la
CGIL

(che ha la stragrande maggioranza degli iscritti al sindacato specie a Pisa) e
le cooperative, perlopiù facenti parte della Lega Coop e quindi legate al
cooperativismo rosso.

I precari all’interno dell’
Università sono più della metà dei lavoratori complessivi, poiché sono
utilizzati sia nei servizi che nell’amministrazione ,ma anche nella ricerca e
nella didattica, un referendum di questa
fascia di lavoratori fatto nel marzo 2006
ha messo a nudo una realtà composta da 17 tipologie diverse di
ricercatori e docenti atipici e/o a tempo determinato:

1.538 contratti a progetto
solo nel 2005,150 prestatori occasionali e quasi 600 co.co.co.

Si tratta di una vera e
propria giungla in cui convivono gli assegnisti,i borsisti, ico.co.co., gli specializzandi,i
professori a contratto e i dottorandi dall’età media molto elevata, eppure
permanentemente ricattabili.

La
lotta dei precari della ricerca e della didattica ha fatto sì che tramite il referendum
la città venisse a conoscenza dell’esistenza di 3.000 “invisibili” dentro
l’emerita Università pisana , ed è stata fondamentale per la riuscita l’autorganizzazione ed il riconoscimento dei
lavoratori , che pare sempre più l’unica via da seguire per la mobilitazione e di rivendicazione dei
diritti che riguardino tutti gli “invisibili.

Negli
ultimi anni sono andate ingrossandosi sempre di più le file di lavoratori e
delle lavoratrici definiti/e atipici o precari/e, definizioni quanto mai
eufemistiche che nascondono e sottintendono una situazione di pesante e
generalizzato sfruttamento lavorativo, che influisce pesantemente sul livello e
sulla qualità della vita di milioni di persone: frammentate, vessate,
sottopagate, per niente sindacalizzate, che devono far fronte alle esigenze d’ogni
giorno senza avere nessun tipo di sicurezza: economica, lavorativa e abitativa
in più immersi in un sistema dei servizi che con le privatizzazioni selvagge
hanno raggiunto costi proibitivi.

La
situazione abitativa a Pisa è drammatica ed il lavoratore precario a ben poche
scelte per avere un tetto, non avendo la possibilità di ottenere un mutuo con
un contratto a termine senza nessuna garanzia deve entrare nel mercato degli
affitti, con la tenue speranza di vedere un contratto lavorativo che duri
almeno quanto il suo contratto d’affitto. In città si riversano sempre più studenti fuori sede che alzano la
domanda di affitti ma non fanno certo
calare il costo dell’offerta, che si mantiene molto alto grazie ad un continuo sistema di speculazione
dei proprietari che solo in città lascia 1.500 appartamenti sfitti pur di non
immetterli nel mercato e abbassare così i prezzi.

Il Comune non prende nessuna posizione sul tema,
ma anzi svende tutto il patrimonio pubblico, portando Pisa ad essere la terza
città italiana subito dopo Milano, nella triste classifica che indica il
rapporto sfratti/abitanti.

Si
crea quindi un problema d’accesso allo studio per chi non si può permettere un
posto letto a 400 euro, e si rende impossibile ad un soggetto precario di
trovare almeno una situazione abitativa stabile, visto che una stanza può
valere un intero stipendio.

Sono solo alcune tra le vicissitudini che un
individuo può incontrare vivendo a Pisa, che non è certo una delle città più
invivibili d’Italia, ma che ha fatto scuola per le moderne trasformazioni in ambito lavorativo e sociale
, riuscendo a sfruttare un esercito di riserva fatto di 50.000 studenti
universitar,i che per i problemi sopraindicati si trovano costretti a dover intraprendere una
qualche forma di lavoro per poter sopravvivere studiando.

Un esercito che dovendo rispettare i tempi
dello studio è favorevole ad accettare lavori part- time che prevedono una
certa flessibilità di orario, ma che portano a una più generale precarietà dei
diritti umani e dell’esistenza.

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