Università: Tra Riforme fallite e studenti di professione, anche i docenti si interrogano

Quali erano le ragioni di una riforma
universitaria? Gli obbiettivi che si era posto chi l’ha formulata sono stati
raggiunti? Cosa ha impedito il loro conseguimento? Un incontro tra professori e
studenti ha cercato di rispondere a queste domande guardando la riforma da tre
punti di vista diversi. Dalle esposizioni dei relatori prof. Mirandola di
ingegneria gestionale, prof Taddei di medicina e prof dal Pozzo di lettere e
filosofia, è scaturito un quadro composito e discordante. La riforma si era
posta l’obbiettivo di accelerare l’ingresso nel mondo del lavoro degli
studenti, limitare gli abbandoni e legare maggiormente il mondo universitario
al mondo del lavoro per rompere l’isolamento che caratterizzava il primo. Mentre
per facoltà professionalizzanti come ingegneria e medicina questo è
auspicabile, l’esperienza di lettere pone molti interrogativi sull’effettiva
convenienza di un legame che si profila troppo stretto.

Pare comunque che l’obbiettivo di ridurre i
tempi di laurea e gli abbandoni sia stato conseguito anche se spesso a scapito
della preparazione teorica degli studenti. Dalla discussione è emerso anche il
problema dello svilimento del valore del titolo di laurea dovuto al proliferare
di offerte didattiche sempre più specifiche e spesso ridondanti . Le ragioni di
queste problematiche sono da ricercarsi principalmente nel mondo accademico che
si è dimostrato incapace di sfruttare al meglio i nuovi strumenti che gli
venivano forniti con l’autonomia e di mantenere responsabilmente un rapporto di
equilibrio con il mondo del lavoro. Per quanto riguarda le responsabilità
statali si lamenta la mancanza di investimenti e di presenza delle istituzioni
che non si sono preoccupate di dare agli atenei gli strumenti economici per
attuare al meglio la riforma imponendo pure scelte che penalizzano la didattica
a fronte di ragioni puramente economiche come il semestre; e non hanno
effettuato i necessari controlli per evitare fenomeni patologici come il
proliferare dei corsi di laurea. Si lamenta inoltre un atteggiamenti passivo da
parte degli studenti  e la poca
attenzione posta dalle rappresentanze studentesche a problemi attinenti alla
stessa vita universitaria prediligendo, invece, lotte su temi di più ampio
respiro.

In definitiva questa riforma sembra cucita su
facoltà professionalizzanti, che ne escono avvantaggiate, come ingegneria, ma
sembra inadeguata a raccogliere le necessità di facoltà che si prefiggono di
creare figure di ricerca che necessitano di maggiore indipendenza dal mondo del
lavoro e un sistema di studio che sia più approfondito e meno parcellizzato. Scelte
come quella del semestre sembrano infine molto pericolose perché tradiscono la
volontà, da parte delle istituzioni, di privilegiare considerazioni economiche
rispetto alla tutela della preparazione degli studenti.

 

 

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