Chiusa l’indagine ThyssenKrupp: La Procura chiede l’omocidio volontario.


Oggi, sabato 23 febbraio 2008, la Procura di Torino ha
chiuso, dopo soli 3 mesi, le indagini sul rogo degli stabilimenti ThyssenKrupp,
che costò la vita a 7 operai.

Un’inchiesta sorprendentemente breve, per i tempi della
magistratura italiana, le cui conclusioni confermano sostanzialmente quanto
denunciato in questi mesi dai lavoratori dell’acciaieria, nonché dagli
ispettori della Asl, che hanno accertato ben 116 violazioni delle norme di
sicurezza.

I dirigenti delle acciaierie Thyssen sarebbero stati
perfettamente consapevoli dei rischi cui erano sottoposti gli operai, e
avrebbero perciò colpevolmente omesso di dotare lo stabilimento dei necessari
sistemi di sicurezza antincendio, nonostante le direttive provenienti dalla
casa madre tedesca li avessero esplicitamente invitati a provvedere
all’immediata messa in sicurezza di tutti gli impianti italiani. Dato, questo,
che conferma come il problema della sicurezza sul lavoro, diffuso in tutta
Europa, sia in Italia una piaga particolarmente infetta e purulenta.

Harald Espenhahn, amministratore delegato del gruppo
italiano, avrebbe inoltre avuto coscienza che non solo gli impianti non avevano
un adeguato sistema antincendio, ma che un incendio era possibilità più che
probabile, imminente (2 incendi, senza gravi conseguenze, si erano già
verificati nelle fabbriche del gruppo). Il suo ruolo lo investiva dei massimi
poteri decisionali in merito alle spese per l’adeguamento degli impianti, che
egli scelse di posticipare dal biennio 2006-2007 al 2007-2008, sapendo che nel
frattempo l’impianto sarebbe stato chiuso. Inoltre, studi interni all’azienda e
da parte di alcune compagnie assicuratrici, che non a caso avevano alzato la
franchigia sull’impianto, avevano stabilito la pericolosità della linea 5,
sulla quale poi si è verificato l’incidente.

Sulla base di questi elementi, la
Procura torinese ha contestato ad Espenhahn il reato di omicidio volontario con
dolo eventuale: è la prima volta, in Italia,
che viene contestato un reato così grave nell’ambito di un’inchiesta di
morti sul lavoro. Per gli altri 5 indagati, il pool di magistrati guidato da
Raffaele Guariniello ha contestato, a seconda delle condotta tenuta nella
vicenda, i reati di omicidio colposo e incendio colposo con colpa cosciente e
omissione volontaria di cautele contro gli infortuni. I nomi degli indagati
sono: Marco Cucci e Gerald Priegnitz, consiglieri delegati; Daniele Moroni,
responsabile della multinazionale; Giuseppe Salerno, direttore dello
stabilimento di Torino e Cosimo Cafueri, responsabile del servizio di
prevenzione dei rischi sul lavoro.

In attesa che si apra il processo
vero e proprio, nel quale ci auguriamo vengano accertate le responsabilità e
vengano punite in modo esemplare, vogliamo sottolineare come questi fatti
dimostrino inequivocabilmente che lo sfruttamento del lavoro e la riduzione del
suo costo, portate avanti in questi anni con la complicità della politica e,
talvolta, di sindacati sempre più inermi, non passa soltanto attraverso gli
stipendi da fame e la contrazione delle tutele contrattuali, ma anche
attraverso la riduzione delle spese volte a garantire la sicurezza e
l’incolumità fisica sul posto di lavoro. E vogliamo ricordare ad un’opinione
pubblica troppo spesso distratta su questi temi che, dal momento che si lavora
per vivere e non si vive per lavorare, tanto meno se ne può morire.

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