La rubrica Primo Piano conterrà quello che in un giornale cartaceo, in un quotidiano, si chiama editoriale; un articolo, frutto di una riflessione collettiva tra i membri della redazione, che anziché essere incentrato su un evento o su un problema specifico tenterà di articolare una riflessione più generale, con l’obiettivo di fornire una sorta di introduzione a quelli che saranno i temi maggiormente trattati durante la settimana all’interno dei singoli articoli del blog.
Una serie di eventi recenti rende fin troppo semplice il compito di svolgere una riflessione d’insieme, in grado di coniugare la situazione nazionale a quella locale, che questo primo editoriale si propone. É di pochi giorni fa, infatti, la proposta del ministro Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini rom che vivono sul territorio italiano. L’idea, sulla cui brutale ottusità poco rimane da aggiungere, si commenta da sé, ma merita una breve riflessione che la colleghi al clima che si respira in questi ultimi mesi in Italia.
La brillante idea del ministro leghista non è che l’ultimo esempio di un generale tentativo, operato dal governo Berlusconi ma non solo, di legittimare, incrementare, dar libero sfogo al coacervo di razzismo, odio, sospetto e violenza che puntualmente emerge nel momento in cui si diffondono disoccupazione, precarietà, insicurezza rispetto al futuro. Dopo aver assistito ad una campagna elettorale quasi interamente basata sul tema sicurezza, in cui i due opposti (opposti?) schieramenti hanno gareggiato nel tentativo di cavalcare l’insicurezza diffusa additando i capri espiatori di turno (ultimamente gli stranieri e i rom in particolare), la vittoria del centro destra ha sancito l’inizio di un clima in cui si è passati molto velocemente dalla violenze verbali stile Borghezio e Calderoli alle violenze fisiche, come nel caso di Verona, o nei numerosissimi casi di violenza a sfondo razzista e sessista a cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi.
Dalle parole ai fatti. Gli istinti più bassi, sempre presenti in qualsiasi società, sono stati coltivati, coccolati, nutriti da una classe politica che è riuscita, con il fondamentale accordo e aiuto dei principali mezzi di comunicazione, ad innalzare una imponente cortina di fumo di fronte ai problemi reali come la precarietà lavorativa ed esistenziale, la sicurezza sul lavoro. Se questa cortina è in grado di nascondere i problemi, non è certo in grado di nasconderne le conseguenze, che però vengono percepite come distaccate dalla loro vera causa, che può essere così occultata e sostituita: al posto della precarietà lavorativa gli immigrati che rubano il lavoro, al posto delle scandalose condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro ancora gli immigrati, al posto dell’insicurezza dovuta alla precarietà esistenziale, alla disoccupazione, l’insicurezza causata dagli stranieri che rubano e uccidono.
La città di Pisa offre un ottimo esempio in piccolo di questo genere di dinamiche: basti pensare che il neo eletto sindaco Filippeschi, nel suo primo intervento pubblico sulla stampa locale, il 1° maggio, ha affermato che le sue maggiori priorità sarebbero state scacciare dall’asse Corso Italia-Borgo Stretto i mendicanti, istallare nuove telecamere, assumere nuovi vigili. In pochi mesi abbiamo assistito ad una campagna stampa che sul famoso tema sicurezza ha assunto toni parossistici (un solo esempio, l’articolo sulle “Culle clandestine” affrontato nella nostra rubrica “Orrori di Stampa”), per non dire di peggio. Non una riga sull’emergenza abitativa che attanaglia da anni la nostra città, sul lavoro nero, diffuso in centinaia di cantieri ed esercizi vari in città. Decine di pagine accuratamente studiate per creare un clima di insicurezza e sospetto nei confronti del diverso. Tutto ciò ha portato, oltre ad un aumento diffuso e strisciante del razzismo più becero, al progressivo rafforzarsi, in una città che ha l’antifascismo inscritto nel suo dna, di gruppi e formazioni “politiche” di estrema destra: accanto a parodici tentativi di imitare le ronde leghiste da parte di esponenti locali del Pdl, alle nascita di movimenti impegnati a tutelare la sicurezza e il decoro cittadino staccando dai muri locandine e volantini, abbiamo assistito infatti alla prima uscita in città di Casa Pound, movimento nato da una scissione interna alla Fiamma Tricolore. Con l’obiettivo di raggiungere una certa agibilità politica, il gruppo ha messo in atto un vile tentativo di speculazione sul problema del diritto alla casa, organizzando un presidio in zona Sant’Ermete. Il tentativo è fallito grazie alla presenza di numerosi antifascisti pisani, ma ha messo in evidenza la necessità, ormai imprescindibile, di intraprendere un’opera di contrasto rispetto al fascismo dilagante che non si limiti all’intervento emergenziale (pur necessario ed importante), ma si strutturi come un costante tentativo di impedire il diffondersi di quella mentalità, di quella sottocultura, da cui il fascismo trae la propria forza.