Bottino di guerra: l’Iraq apre i suoi giacimenti alle compagnie straniere.

Baghdad
L’Iraq apre le porte a 35 compagnie straniere per lo sfruttamento di
gas e petrolio nei suoi ricchi giacimenti. Ieri il ministero iracheno del
Petrolio ha dato l’annuncio della lista di compagnie qualificatesi
per partecipare alle gare d’appalto per i contratti nel settore. In tutto
erano 120 che avevano fatto richiesta.

I giacimenti di petrolio
dell’Iraq sono per vastità i terzi al mondo, dopo quelli di Arabia saudita e
Iran. Per essere sviluppati e portare al massimo la produzione di greggio hanno
bisogno di miliardi di dollari di investimenti, dopo anni di embargo e a causa
dei danni della guerra.

Ufficialmente l’Iraq ha riserve
per 115 miliardi di barili di petrolio, il 10% del totale mondiale, ma in
realtà nel deserto occidentale vi sarebbero quantità di petrolio ancora
sconosciute. Si tratta di un petrolio di ottima qualità e molto facile da estrarre
a tal punto che in alcune zone le autorità hanno dovuto gettare delle colate di
cemento per evitare che i cittadini, scavando, facessero zampillare dal suolo
l’oro nero. Un petrolio che quindi costa pochissimo da estrarre. Questo
giardino delle delizie per i petrolieri presto sarà di nuovo, a oltre
trent’anni dalla nazionalizzazione del settore portata avanti dall’allora
presidente Hassan al Bakr e dal vice presidente Saddam Hussein nel 1972, pronto
ad essere sfruttato a condizioni di grande favore dalle grandi multinazionali.

Fra i qualificati compaiono major
del calibro di BP, Chevron, Exxon Mobil, Royal Dutch Shell, e Total, che da
mesi stanno negoziando con il governo di Baghdad. Altre che compaiono
nell’elenco pubblicato sul sito del ministero sono: la Conoco Phillips, la
russa LUKOIL, la spagnola Repsol, l’australiana BHP Billiton, l’italiana Gruppo
Edison e la Korea Gas Corp. Ci sono tutte, ma proprio tutte. Anche le italiane
Eni ed Edison, come promesso nel 2003 da George W. Bush al premier Berlusconi
in cambio della partecipazione italiana all’invasione dell’Iraq.

I big petroliferi torneranno
quindi nel paese che ha ora bisogno dei fondi necessari e del know-how per
rinnovare le sue infrastrutture colpite dalla guerra. Escluse invece le compagnie che hanno stretto
accordi con il governo della regione semiautonoma del Kurdistan. Baghdad
ritiene tali contratti illegali. Gli attriti politici tra Erbil e Baghdad hanno
ritardato di oltre un anno la presentazione in parlamento della fondamentale
legge sul petrolio. Come misura temporanea l’Iraq ha intenzione di assegnare
contratti a breve scadenza per l’estrazione di greggio e contratti di servizio
per aumentarne la produzione.

Concedendo alle società internazionali l’accesso, il governo iracheno si
discosta dalle politiche dei maggiori produttori della regione come Arabia
Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti, paesi in cui le compagnie nazionali
mantengono uno stretto controllo sugli investimenti stranieri nel settore
petrolifero.

Gli appalti dei giacimenti iracheni hanno un valore
incalcolabile in un momento storico in cui un barile di greggio vale
più di 140 dollari Usa. Il ministro ha specificato che saranno
sei i campi petroliferi aperti agli stranieri, su base di contratti a
lungo termine, come lo sono tutti quelli legati al settore
dell’estrazione e della raffinazione del greggio. I campi sono quelli
di Kirkuk, Rumalia, Zubair, West Qurna Phase 1, Bai Hassan e Maysen.
Quest’ultimo contiene altri tre sottocampi: Bazargan, Abu Gharab e
Fakka. Inoltre saranno aperti allo sfruttamento straniero due
giacimenti di gas naturale: Akkas e Mansuryah.
 

Parlamento bypassato. I sei
contratti già in essere, noti come Technical
Service Agreements
(Tsa), sono accordi tecnici di
servizio per aumentare la produzione in sei dei
maggiori giacimenti del Paese, per un totale di 600mila barili al
giorno. Nei giorni scorsi, Abdulhadi al-Hassani, vice presidente
della commissione parlamentare sull’energia al ministero del
Petrolio, aveva garantito che il ministro al-Shahristani avrebbe
riferito in Parlamento prima di prendere iniziative, ma la conferenza
stampa di oggi sembra un’accelerazione sui tempi dell’Assemblea, dove
i seguaci dell’ayatollah radicale Moqtada al-Sadr e alcuni gruppi
sunniti potrebbero opporre resistenze a qualsiasi iniziativa.

Le procedure d’appalto,
peraltro, sono iniziate prima della definizione della legge quadro
sulla ripartizione dei proventi della vendita del petrolio, ma le
compagnie occidentali erano troppo affamate di greggio in un momento
economico come questo per aspettare l’iter parlamentare con tutte le
sue insidie.

 
Il nodo di Kirkuk. Ma la scelta
delle compagnie petrolifere autorizzate a giocarsi la gara d’appalto
non risolve tutti i problemi. Uno dei nodi da sciogliere è
l’assegnazione dell’appalto per lo sfruttamento del campo petrolifero
di Kirkuk, ritenuto potenzialmente uno dei più ricchi al
mondo. Ma il destino della città, per il momento, è
ancora appeso a un filo. Doveva essere un referendum, da tenersi
entro il dicembre dello scorso anno, a definire la sovranità
curda o sunnita sulla città.

Per motivi di sicurezza, il
referendum è stato rinviato in un primo momento a luglio e poi
a data da destinarsi.

Il governo del premier al-Maliki tratta
per raggiungere un accordo, ma la soluzione del problema sembra
lontana. E i curdi, in barba all’assenza di una legge del petrolio
nazionale, hanno stipulato oltre venti contratti internazionali di
sfruttamento dei pozzi nel Kurdistan iracheno. Il primo ministro della
regione autonoma curda, Nechirvan Barzani, ha ribadito che quei
contratti sono ”irreversibili, e chiunque pensi di annullarli
sogna”.

Non proprio una base  per una trattativa flessibile.
 

E la guerra di Bush
continua…

Il presidente statunitense George W. Bush ha firmato oggi la legge che stanzia
162 miliardi di dollari per le guerre in Iraq e in Afghanistan. Il provvedimento,
lodato da Bush come un raro esempio di collaborazione bipartisan, mira a coprire
le spese militari fino all’estate del 2009, cioè ben oltre la fine del mandato
dell’attuale presidente che lascerà la Casa Bianca nel prossimo gennaio. 

Il pacchetto approvato dal Congresso comprende il raddoppio dei benefit universitari
per i soldati e i veterani, oltre a estendere di 13 settimane le agevolazioni
per i disoccupati. Con questo provvedimento, i fondi destinati da questa amministrazione
alla guerra in Iraq salgono a oltre 650 miliardi di dollari, mentre per le operazioni
belliche in Afghanistan il totale si aggira intorno ai 200 miliardi.

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