È morto il poeta palestinese Mahmoud Darwish

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:10.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
mso-ansi-language:#0400;
mso-fareast-language:#0400;
mso-bidi-language:#0400;}

Houston – All’età di sessantasette anni è morto il poeta
palestinese Mahmoud Darwish, in seguito a delle complicazioni durante un
intervento a cuore aperto nell’ospedale di Houston. Mahmoud Darwish è stato uno
dei più grandi poeti in lingua araba di sempre, ma soprattutto ha cantato in modo
appassionato la tragedia del popolo palestinese. La vita di Mahmoud Darwish è
stata la vita di ogni palestinese: scacciato nel ’48 con la famiglia dal
villaggio di Al-Birweh, in Galilea, subito distrutto dalle milizie israeliane,
divenne uno dei tanti profughi in Libano. Fu arrestato molte volte per aver letto
le sue poesie in pubblico, quando sconfinava illegalmente in Israele. Durante
l’esilio fu direttore di alcune riviste palestinesi al Cairo, a Beirut e ad
Amman ed è stato un importante dirigente politico dell’OLP fino al 1993, quando
si dimise perché contrario agli accordi di Oslo.


Si è sempre battuto per la causa dei profughi palestinesi, perché fosse garantito
il loro diritto al ritorno, ed ha sostenuto la seconda Intifada, tema dominante
della sua ultima raccolta poetica “Stato d’assedio” (2002). Darwīsh in lingua
farsi significa letteralmente "cercatore di porte", ma più
propriamente vuol dire “povero, mendicante”. Mahmoud Darwish ha cercato per
tutta la vita le porte della liberazione del popolo palestinese, in politica e
nell’arte, uomo capace di ascoltare e di interpretare con l’aiuto della poesia
le mille difficoltà della sua terra.  Difficoltà
che soprattutto nel momento attuale fanno piangere ancora di più la sua
scomparsa. Darwish disapprovava la divisione del potere fra i palestinesi, e criticava
la recrudescenza con cui Hamas era salita al potere nella striscia di Gaza. Si
era allontanato ancora di più dalla vita politica, lui da sempre laico
combattente di ogni pretesa verità teista. Anche lui piangeva la povertà del
clima politico, ma soprattutto del clima umano che si respira in Palestina.
Così dichiarava in un’intervista a “Carta” del giugno 2007:

“Io spero fortemente che ci sia una terza via: laica, aperta
e rappresentativa della società civile. Una forza che porta avanti le vere rivendicazioni
di indipendenza del popolo ma con mezzi al servizio del popolo e in armonia con
l’epoca in cui viviamo. Non una forza che impone le sue convinzioni politiche o
religiose con la forza. Noi speriamo che il popolo palestinese possa, ed è
indispensabile che possa, esprimere una forza di questo genere. Ma alla luce
del risultato delle ultime elezioni, abbiamo visto che le forze alternative,
laiche e sociali rappresentano una parte infima della scena politica. La
bipolarità rimane tra Hamas e Fatah. […] Si combattono per un potere che non esiste.
Dobbiamo ricordarci che siamo tutti sotto occupazione e che la pace che ci
avevano promesso ad Oslo tanti anni fa non c’è e non ha portato a niente”.

Il Presidente palestinese Abbas ha ufficializzato tre giorni di lutto nazionale
in memoria di Darwish, ma non è chiaro se Hamas, che controlla la striscia di
Gaza, accetterà l’invito del rappresentante di Fatah. Ad ogni modo martedì
prossimo saranno celebrati in Cisgiordania i funerali di Stato, onore che prima
di lui era stato reso solo ad Arafat. Ricordo che in una fiaba del poeta turco
Nazim Hikmet dal titolo “Il nuvolo innamorato” il mondo veniva creato dal suono
del flauto di un derviscio. Che la tua musica e le tue parole, Mahmoud Darwish,
ci accompagnino nella creazione di un mondo nuovo, e che la tua lotta sia ispirazione
per questa generazione di afflitti affinché non cedano alle lusinghe della
superficialità, dell’interesse e dell’asservimento.

Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identita’ e’ la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arrivera’ dopo l’estate.
V’irriterete?
Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e I libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Ne’ mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?
Ricordate!
Sono un arabo,
Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell’apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d’olivo
E prima che crescesse l’erba.
Mio padre…viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
ne’ ben cresciuto, ne’ ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa e’ come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.
Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!

Questa voce è stata pubblicata in Dal Mondo. Contrassegna il permalink.