Cile: desaparecidos, Podlech estradato in Italia

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Cullato
dall’ impunità di cui gode in patria, Alfonso Podlech Michaud, 73 anni, ex
procuratore militare di Temuco, non ha dato peso a un mandato di cattura emesso
dal pm romano

Giancarlo Capaldo, titolare dell’inchiesta sulla Operazione Condor, che da
Natale insegue 140 responsabili dell’operazione Condor.
E ha lasciato le frontiere “protette” del Cile per consegnarsi nella mani del
nemico numero uno della dittatura di Santiago: quel Baltasar Garzón che nel ‘
98 bloccò lo stesso Pinochet agli arresti a Londra e che si è trovato sulla
scrivania il dossier Podlech e ha firmato la detenzione.

Podlech,
che figura in diversi processi per violazione dei diritti umani, era stato
arrestato il 26 luglio all’aeroporto di Madrid mentre con alcuni familiari si
accingeva a partire per la
Repubblica ceca. E’ stato estradato oggi dalla Spagna in
Italia, ha riferito la radio cilena Bio Bio. A giorni il trasferimento nel
carcere romano di Regina Coeli.

Podlech
è accusato della scomparsa del sacerdote italo-cileno Omar Venturelli, poco
dopo il golpe del generale Augusto Pinochet del 1973. L’ 11 settembre, il
golpe di Pinochet appena consumato, Omar Venturelli e la moglie Fresia Cea
sentono i propri nomi scanditi alla radio: hanno otto ore di tempo per
presentarsi in caserma per una «registrazione». «Vado io per prima», dice
Fresia. Omar resta in casa con la bimba di un anno e mezzo. A essere convocati
dalla voce dei militari sono in questa fase professori, intellettuali,
studenti.

Ex
sacerdote sospeso «a divinis» dopo le battaglie per la terra agli indios, già
dirigente dei Cristiani per il Socialismo, Omar insegna Pedagogia all’
Università cattolica di Temuco. Nelle ore concitate che seguono la battaglia
alla Moneda e il suicidio di Allende, i dettagli – e gli orrori – del regime
non sono ancora nitidi. Fresia arriva in caserma, capisce che non si tratta di
burocrazia, scappa. Non riesce a comunicare con Omar, che ha però intuito il
pericolo e per due giorni si nasconde. I comunicati radiofonici iniziano a
cercarlo con maggiore insistenza, «vivo o morto». Finché il padre lo convince a
consegnarsi. Italiano della provincia di Modena, pioniere della colonia di
Capitan Pastene nel Sud del Cile, Roberto Venturelli è un uomo di destra,
convinto della pericolosità del governo Allende e delle buone intenzioni di
sicurezza e difesa della proprietà del nuovo regime. Ignaro dei metodi
sanguinari, è lui stesso ad accompagnare il figlio in caserma. Non lo rivedrà
mai più.

Il 4 ottobre 1973 Podlech firma per Omar Venturelli l’Orden
de Libertad n.52 con il quale si chiede il rilascio del professore. Una
settimana dopo, un giovane militante di sinistra condotto in cella al passaggio
in un corridoio sente la voce disperata di un uomo: «Mi chiamo Omar Venturelli,
fate sapere che sto morendo». Desaparecido, come tremila altri. Podlech in Cile
ha esibito un documento che attesta la sua nomina a procuratore militare di
Temuco solo nel marzo ‘ 74. E su questa carta in patria è stato scagionato.

L’ ordine 52, così come le testimonianza dei sopravvissuti – alcuni ascoltati
anche a Roma dal pm Capaldo – indicherebbero invece che lui c’ era da subito.
Alla prigione sarebbe arrivato già la mattina dell’ 11 settembre, ore 8, per
imporre il rilascio dei terroristi di destra di Patria y Libertad. Di lì si
sarebbe installato nel carcere. «Era lui a dare l’ ordine di torturare e spesso
partecipava direttamente alle sessioni – racconta Fresia -. Testimoni dicono di
averlo sentito chiamare i torturatori e, indicando i prigionieri, dire:
"Ammorbiditeli un po’ , poi riportatemeli".

Una ragazza, insegnante delle elementari, l’ ha riconosciuto come l’ uomo che
le ha puntato una pistola alla tempia in una finta esecuzione». Presente e
attivo inquisitore, dunque, del carcere di Temuco e della caserma Tucapel, gli
stessi luoghi dell’ orrore per cui è passato proprio in quegli anni lo
scrittore cileno Luis Sepúlveda. Per raccontare poi ne La frontiera scomparsa
dei militari «che giravano la manovella del generatore elettrico», degli
infermieri «che ci applicavano gli elettrodi all’ ano, ai testicoli, alle
gengive, alla lingua e poi ci auscultavano per decidere chi fingeva e chi era
davvero svenuto sulla "griglia"».

L’ ultimo capitolo di questa storia Fresia Cea vorrebbe adesso che a scriverlo
fosse la giustizia italiana. «Il pm mi ha detto che spera di arrivare alla
prima condanna già entro l’ anno». Appello a Napolitano: «Chieda alla
presidente cilena Bachelet che si ricordi di noi vittime. Podlech a Madrid ha
già ricevuto l’ assistenza legale dello Stato. Anche io ne avrei avuto bisogno.
Mi auguro che non finisca come Pinochet». Esattamente il precedente a cui
guarda la difesa di Podlech, che ha già fatto richiesta di «immunità» sul
modello dell’ intricata vicenda che riportò l’ ex dittatore da Londra a
Santiago. Senza mai una condanna.

 

 

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