richiesto dalla coalizone di maggioranza. Lo ha annunciato nell’attesissimo discorso
alla nazione nel corso del quale ha difeso il suo operato dicendo di aver agito
nell’interesse esclusivo del Pakistan e del suo popolo. Si è detto sicuro che
le accuse contro di lui non avrebbero retto, qualora avesse deciso di affrontarle.
Ma, ha detto, "non c’è più tempo per ulteriori confronti e ho deciso di dimettermi
dopo aver consultato i miei consiglieri".
Stato incruento ai danni dell’allora primo ministro Nawaz Sharif, si è
improvvisamente complicata la scorsa settimana quando, dopo giorni di
trattative a tratti caotiche, i due maggiori partiti del Paese hanno
trovato un accordo per avviare le procedure di impeachment. Le sequenza
di eventi che hanno portato l’ex uomo forte della repubblica islamica a
dover fare i conti con i propri oppositori è iniziata nell’aprile del
2007, con i primi tentativi di decapitare la Corte suprema, ed è
culminata, dopo la sospensione della Costituzione di ottobre, nella
sconfitta elettorale subita lo scorso febbraio dai suoi alleati.
Da
quel momento, l’uscita di scena dell’ex generale è stata in cima
all’agenda poltica di un Governo che nei suoi primi litigiosi cinque
mesi di vita è parso disposto a sacrificare tutto, compresi gli
obiettivi della stabilità e della crescita, pur di chiudere l’era
Musharraf. Con le dimissioni l’ex generale ha evitato di
affrontare la procedura di impeachment, per la quale avrebbe dovuto difendersi da una
lunghissima serie di accuse: alcune legate ai suoi tentativi di restare
al potere che hanno costellato l’ultimo anno e mezzo di vita pubblica
del Pakistan; altre frutto del controverso ruolo giocato, sotto la sua
guida, da un Paese al 96% musulmano nella guerra al terrorismo.
Non
più tardi di mercoledì notte il presidente ha fatto un ultimo timido
tentativo di riconciliazione con le forze politiche che lo hanno messo
in minoranza. Nel corso di un breve discorso fatto alla vigilia delle
celebrazioni dell’Indipendenza, il primo dall’annuncio
dell’impeachment, Musharraf ha lanciato un appello in nome di
«riconciliazione e stabilità » che non ha raccolto i favori di quella
sempre più vasta parte del mondo politico che vuole la sua dipartita.
Non è
chiaro cosa attenda ora il Paese, a seguito delle dimissioni immediate. La
Costituzione prevede che il Parlamento elegga un nuovo presidente nel
giro di 30 giorni, un lasso di tempo piuttosto breve per far sì che i
due principali partiti di Governo trovino un accordo sulle riforme
costituzionali che quasi certamente precederanno l’elezione. Il
principale candidato alla poltrona di capo dello Stato per il momento è
Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto che ha ereditato dalla
leader scomparsa la guida del Partito del popolo pakistano. Ma è assai
improbabile che il secondo partito del Paese, la Pakistan Muslim League
(Pml-N) di Nawaz Sharif accetti di dare i propri voti senza prima
ottenere un ridimensionamento del ruolo del presidente. Una materia
delicata per due leader che, senza più l’obiettivo di liberarsi di
Musharraf, rischiano di trovarsi senza più nulla in comune eccezion
fatta per un’annosa diffidenza reciproca.