Paola Zerboni risponde… Prendiamo spunto per alcune riflessioni.

Riportiamo di seguito la lettera che ci è giunta via mail, da Parte di Paola Zerboni, in risposta ai nostri articoli usciti ultimamente sul blog, che commentavano il lavoro della suddetta giornalista:

gent.ma Associazione,

rispetto il vostro parere, che ovviamente non condivido, e ritengo fondamentale che ognuno abbia la possibilità di esprimere il suo, anche quando tale libertà di espressione rischia (come, a mio parere accade in questo caso) di sconfinare nella diffamazione a mezzo blog. Una valutazione, la mia, che non mi servirà da occasione per intraprendere azioni (anche legali) per rispondere ai vostri attacchi, pesanti e offensivi, nei miei confronti.

Se siete tutori dei diritti, come vi professate, avrete anche ben presenti i contenuti del diritto di replica. Quanto al merito delle vostre critiche, vorrei ricordarvi che faccio la cronista, non l’opinionista. Mi occupo di cronaca, di fatti, non di opinioni, né di politica. E i fatti, per come ne ho avuto notizia da fonti dirette e indirette (il parroco, i residenti del Cep e le forze dell’ordine nel primo articolo da voi contestato, l’anziano automobilita e ancora le forze dell’ordine nel secondo articolo, riguardante l’episodio di piazza Santa Caterina).Non stiamo parlando fatti gravi, per carità.

Non stiamo parlando dei due bambini uccisi dal padre -italiano, anzi pisanissimo – e bruciati sotto l’alberone del Cep. Per fortuna quelli sono eventi eccezionali, nella loro tragicità. Ma non è voler soffiare sul fuoco della xenofobia, riportare sul giornale episodi che sono realmente accaduti (come l’aggressione alla vigilessa) e che segnalano un disagio esistente, a Pisa come in molte altre città. Si può anche non parlarne, ma a casa mia si chiama nascondere il disagio come la polvere sotto il tappeto.

E vi vorrei ricordare che, rimanendo sempre in tema di abusivismo, il 10 agosto 2007, sotto un cavalcavia di Stagno, in un accampamento abusivo di Rom, sono morti bruciati 4 bambini, dai 3 agli 11 anni. Certo è stata una tragica fatalità, quei quattro bimbi non sono morti per mano assassina di un babbo impazzito. Ma sono morti anche loro, nell’incendio di quattro baracche, perché molti – istituzioni, associazioni, forze dell’ordine, gente comune – avevano fatto finta di non vedere le condizioni precarie in cui erano costretti a vivere attorno al falò che li ha uccisi.
A me, che definite senza mezzi termini "razzista", i venditori abusivi al parcheggio, non hanno mai dato fastidio (anzi ce ne fossero, visto che sono alla perenne ricerca di accendini e fazzolettini, ho sempre le tasche piene di spiccioli e non sono bravissima nelle manovre di parcheggio).

Ma capisco anche che un signore anziano, magari un po’ di fretta, che si vede accerchiare da una dozzina di giovanotti urlanti e minacciosi, possa prendersi paura e chiamare la polizia. Quanto alla statuetta della Madonna, distrutta dai vandali, le immagini registrate dalle telecamere posizionate davanti all’ingresso del negozio posto di fronte all’edicola mariana, confermano gli iniziali sospetti indicati dalla gente del quartiere. E nessuno parla, o ha mai parlato di "guerra di religione", credo che si tratti più semplicemente degli effetti di una bella sbronza di gruppo, che comunque è sfociata in un fatto di cronaca. Intesa come piccola cronaca di provincia, ma comunque cronaca fatta (scusate il gioco di parole) di fatti. Quanto alle opinioni, pensateci voi.

Cordialmente

Paola Zerboni (La Nazione)

Brevi riflessioni sul mestiere del giornalista, nate della risposta di Paola Zerboni

Leggiamo con piacere la lettera che la giornalista della Nazione Paola Zerboni ci ha inviato, in risposta ad un articolo che la riguardava comparso sul blog il 25-9-08.
Ci fa piacere sia perché ci permette di constatare l’attenzione che la stampa ufficiale rivolge al nostro modesto lavoro, sia perché ci garantisce un ottimo spunto di riflessione a proposito dell’articolo a cui la giornalista si riferisce e più in generale dei principi che guidano la nostra attività.

L’articolo in questione, che costituiva una risposta ad una serie di articoli pubblicati dalla giornalista sulla Nazione, aveva indubbiamente un tono aggressivo e un taglio “personale”, di cui ci scusiamo. Non è infatti nelle nostre intenzioni rivolgere attacchi personali. È nostra intenzione invece attaccare il modo di fare giornalismo, sempre più diffuso, che gli articoli della Zerboni perfettamente incarnano e che la risposta della giornalista esplicitamente (ma forse anche involontariamente) rivendica.

Da mesi in Italia assistiamo al costante aggravarsi di un clima razzista, xenofobo che ormai giornalmente sfocia in gravissimi fatti di sangue. Solo ripercorrendo i fatti di cronaca delle ultime due settimane abbiamo un ventenne nero ucciso a sprangate per aver rubato una scatola di biscotti, uno studente ghanese selvaggiamente picchiato dalle forze dell’ordine, sembra per un grottesco scambio di persona, un padre di famiglia insultato e picchiato a sangue da un gruppo di minorenni perché cinese.

È difficile pensare che questo rigurgito di violenza razzista sia frutto del caso, di qualche oscuro ricorso storico, mentre è più razionale, almeno a nostro parere, leggerlo come la manifestazione più estrema e visibile di una deriva culturale fatta di odio verso il diverso, ignoranza e intolleranza verso la quale il nostro paese sta scivolando ad una velocità preoccupante.

Questo fenomeno, purtroppo, è tanto vasto e complesso da rendere veramente difficile l’operazione di individuarne le cause, tanto più per chi, come noi, di mestiere non fa né il giornalista né il sociologo. Sembra innegabile tuttavia che un vasto settore di stampa e televisione abbia quantomeno la sua fetta, bella grande, di responsabilità. Non ci riferiamo a quei giornali e a quelle televisioni che fanno del razzismo e dell’odio la loro bandiera, ma a tutta quell’informazione che attraverso l’apparente resoconto di nudi fatti, contribuisce attivamente, e subdolamente a diffondere paura e ignoranza. E dalla paura e l’ignoranza, si sa, poi nasce il razzismo.

Al nostro articolo la Zerboni risponde: “faccio la cronista, non l’opinionista. Mi occupo di cronaca, di fatti, non di opinioni, né di politica.”
È lecito, per un giornalista in particolare, parlare di “fatti”, escludendo dal concetto di “fatto” la descrizione che se ne dà? Il resoconto di un evento può essere considerato come una rappresentazione puntuale e precisa, della realtà? Già nell’antica Grecia ci si interrogava sul mistero che permette la trasposizione dell’esperienza vissuta attraverso la parola. È possibile, nel 2008, in Italia, dove ancora oggi non c’è concordanza di opinioni su ciò che è stato il fascismo, il nazismo, dove ci sono persone che negano l’Olocausto, parlare di nudi fatti? Crediamo di no.

Ma anche concedendo questa possibilità, dal momento che sarebbe un po’ pretenzioso da parte di qualsiasi giornale e giornalista pensare di poter riportate tutti i fatti, chi decide quali sono i fatti che vale la pena riportare? Chi decide cosa è importante e cosa no? E soprattutto, questa inevitabile scelta, può essere considerata neutra?
Abbandonando discorsi forse troppo astratti e tornando alla triste realtà dei nostri tempi, ci sembra che proprio attraverso questa presunta neutralità i mezzi di comunicazione creino pregiudizio e paura. Crediamo sia quasi superfluo far notare alla Zerboni che quando un italiano stupra una donna, sui giornali è “solo” uno stupratore, mentre quando a commettere lo stesso orrendo reato è un rumeno, diventa subito uno stupratore rumeno, tipologia di criminale evidentemente molto più pericolosa e diffusa; che un piccolo furto al supermercato difficilmente è degno di cronaca, ma se a rubare è un immigrato il fattaccio si guadagna immediatamente un paio di colonne e magari anche la civetta.

Stringendo ancora di più il cerchio e arrivando alla nostra piccola città, vorremmo chiedere il parere della giornalista a proposito di precise scelte del giornale per il quale lavora, come quella di sostituire in qualsiasi genere di articolo il termine senegalese con vu cumprà, o quella di pubblicare lettere dal contenuto esplicitamente razzista, come quella della lettrice di Treviso che lamenta il terribile spettacolo di una Pisa invasa da “gente di colore”. Sono scelte che favoriscono il tentativo di fare cronaca? Di raccontare i fatti? Crediamo che l’idea di poter raccontare nudi fatti sia, oltre che assurda, pericolosa, poiché nasconde l’inevitabile opera di selezione e interpretazione che costituisce la base per poter anche solo affrontare un fatto. Per questo il nostro blog si presenta fin da principio come una fonte di informazione che tenta di non essere ideologica, ma che non pretende di essere neutrale e che fa del suo essere esplicitamente schierata garanzia di limpidezza e onestà nei confronti dei lettori.

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