Eurispes 2009: i manager guadagnano 243 volte più di operai ed impiegati.

Già in precedenza si era tanto parlato di come la forbice tra ricchi e poveri si stesse allargando. Accadeva con Prodi ma esplode con Berlusconi. In un’indagine Eurispes risulta che i top manager italiani guadagnano 243 volte uno stipendio medio. Si evidenzia cioè come la distanza tra le retribuzioni percepite da alti e medi dirigenti e gli stipendi di impiegati e operai è molto aumentata.
Ancora oggi il 20% delle persone trova lavoro tramite raccomandazione.

Tra il 1995 e il 2005 in 18 paesi su 20, gli stipendi del 10% dei lavoratori più pagati è cresciuto molto di più di quello del 10% dei lavoratori che percepiscono i redditi più bassi (Ocse, 2008). Gli stipendi di operai, impiegati, quadri e dirigenti hanno registrato una crescita lineare ma a ritmi e in rapporto ai valori dell’inflazione decisamente differenti. Mentre i dirigenti quasi sempre beneficiano di un incremento al di sopra del 20%, la variazione degli stipendi degli impiegati non riesce a superare il 10%. Prendendo in considerazione le retribuzioni medie annue, emerge che un dirigente in genere percepisce uno stipendio che è quasi quattro volte superiore a quello degli impiegati che operano nello stesso comparto (Adecco Salary Guide 2006).

L’Eurispes rimarca, quindi, come la forbice tra retribuzioni dei top manager e stipendi dei lavoratori dipendenti sia "enorme". Secondo i dati Ocse, d’altronde, evidenzia l’Istituto, "la media dei compensi totali percepiti nel 2007 dagli amministratori delegati di grandi gruppi italiani è pari a 243 volte lo stipendio medio. Un aspetto certamente non trascurabile riguarda il peso assunto dalla parte variabile dello stipendio dei top manager, che supera spesso il 60% del totale. Questo fenomeno rende le retribuzioni dei top manager spesso poco trasparenti"
Mentre il presidente degli Stati Uniti d’America tuona contro gli stipendi da capogiro di alcuni manager e guru della finanza, il nuovo rapporto Eurispes 2009 fotografa una realtà italiana non molto diversa.

Gli italiani guadagnano poco, molto meno dei loro colleghi europei, e negli ultimi anni hanno faticato a reggere l’aumento del costo della vita. Ma la situazione cambia se si guarda “in alto”. Un dirigente in genere percepisce uno stipendio che è quasi quattro volte superiore a quello degli impiegati che operano nello stesso comparto.

Il problema prioritario resta però il precariato. A risentirne maggiormente sarebbero i ragazzi tra i 25 e i 34 anni, preoccupati anche delle basse retribuzioni. A porre come prima problematica la mancanza di lavoro, opzione indicata, rispettivamente dal 33%, 37% e dal 51,7% sono invece le classi più adulte. I più giovani (18-24 anni) ripartiscono più uniformemente le loro scelte tra chi indica l’assenza di possibilità lavorative (33,6%) e chi la precarietà (il 32,9%). Il lavoro nero continua ad essere sentito come una piaga che colpisce specialmente lavoratori dai 35 ai 44 anni.

Altra spina nel fianco per i lavoratori italiani è la flessibilità. Secondo la maggioranza degli italiani le misure legislative adottate nell’ultimo decennio hanno peggiorato le possibilità occupazionali dei giovani rendendo il lavoro più incerto. Solo il 12,4% dei lavoratori considera la flessibilità come lo strumento che ha permesso a molti cittadini di uscire dalla disoccupazione.

Ma quanti sono senza lavoro? Nel 30,1% dei casi all’interno del proprio nucleo familiare c’è un componente che non lavora. All’interno dei nuclei familiari, coloro che non lavorano (39,5%) si trovano in questa condizione per le difficoltà riscontrate a trovare un’occupazione corrispondente alla propria formazione, il 21,4% invece non trova alcun tipo di lavoro e il 19,9% ha perso il lavoro e non riesce a ricollocarsi. Questa percentuale, ovviamente, non comprende i membri che non sono in età lavorativa (studenti e pensionati) e che in ogni caso non sono intenzionati a lavorare (ad esempio, le casalinghe).

Le modalità di inserimento sono risultate le più diverse. Tra quanti hanno un impiego, le principali modalità di reperimento del lavoro sono state, nel 23,9% dei casi, la candidatura spontanea; nel 23,3% il concorso o la selezione pubblica e nel 20,2% conoscenze o raccomandazioni. Una parte consistente del 9,7% che ha indicato la voce “altro”, invece, ha specificato di aver trovato l’attuale lavoro.

Soddisfatti o rimborsati? Interrogati sui differenti aspetti del proprio lavoro, emerge soddisfazione nella maggior parte dei casi con percentuali di poco superiori al 50% (eccetto che per la sicurezza di avere un’entrata alla fine del mese, scelta indicata positivamente dal 67,1%). Invece, gli aspetti di cui non si è soddisfatti sono soprattutto il livello retributivo (56,7%), l’adeguatezza delle tutele sindacali (49,3%), la possibilità di conciliare studio e lavoro (61,1%) e la possibilità di avere rapporti con più aziende (50%).
(Adnkronos, eurispes)

 
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