Uranio impoverito: in Italia muore un parà, nel mondo i civili vittime delle nostre guerre.

Il silenzio omertoso delle istituzioni politiche e militari rende la morte del parà ancora più tragica. Pur non credendo nelle poco coerenti e infruttuose "guerre umanitarie" bisogna denunciare

il fatto che l’amata "patria" tanto decantata dalla retorica della destra e dello pseudio centro-sinistra, abbandoni i "suoi" uomini nel momento di bisogno.  La Ragione di Stato non preserva nemmeno chi in questo stato ci ha creduto. Sicuramente errando. Sicuramente stando dalla parte sbagliata.

Alla gente comune, che in guerra da volontaria non ci va, rimane l’amarezza per una persona che muore a causa di "danni collaterali" di guerre inutili e dal sapore coloniale. Oltre al parà che muore, ovunque Nato&co. abbiano sganciato bombe, ci sono migliaia di persone che continuano a pagare per i danni delle tecnologie "intelligenti" dell’industria bellica occidentale. I bambini continuano a giocare vicino ai crateri delle bombe in Iraq, Palestina, Kosovo, Serbia, Bosnia….Somalia. E questa volta la retorica non c’entra.

 

 Milioni di persone convivono quotidianamente con la morte, ma i media spesso se ne dimenticano.

Il parà si chiamava Gianbattista Marica e aveva 35 anni.

Le cifre ufficiali ammettono "solo"77 morti e 312 malati a dicembre 2007. Ma la stessa commissione parlamentare della scorsa legislatura ha pubblicato il dato del Goi (gruppo operativo interforze della sanitò militare) di 1991 casi e 250 morti.

Tra i primi ad ammalarsi per l’esposizione all’uranio impoverito, Marica ha dovuto lottare per più di quindici anni contro la malattia e contro la burocrazia. L’ultima diagnosi recitava "linfoma di Hodgkin al terzo stadio", uno dei più invasivi, poi s’è aggiunto il Morbo di Ludwig. Le gerarchie militari si sono sempre nascoste dietro le difficoltà scientifiche di trovare un nesso certo tra l’esposizione all’uranio impoverito e le malattie riportate a casa dai "nostri" ragazzi spediti nelle guerre umanitarie appresso ai marines (o nei poligoni militari dove le fabbriche di armi sperimentano in segreto le produzioni di morte).

Già, i marines. Il parà Marica raccontava che in quei sette mesi di Somalia loro stavano in t-shirt, quelle verdi dei militari, gli americani, invece, sfoggiavano tute, maschere, guanti, protezioni su ogni parte del corpo. A chi chiedeva spiegazioni veniva risposto che gli americani sono fanatici oppure che i loro protocolli di protezione sono maniacali: contro le punture di zanzara o le scottature da sole. Gli americani si proteggevano dall’uranio impoverito.

I comandi sapevano, notavano la differenza. Ma solo sette anni dopo la Kfor emanava un documento, firmato dal colonnello italiano Bizzari, sui pericoli dell’uranio (tumori e malformazioni alla nascita) e sulle misure di protezione da adottare. Ma i soldati sono stati mandati allo sbaraglio lo stesso, senza rispetto.

Le conseguenze dell’uranio impoverito smascherano ogni retorica sulle missioni italiane all’estero, sull’ipocrisia dell’apparato militare-industriale, sul ruolo della Nato. E il muro di gomma di ministri e generali serve a coprire quei misfatti e i cittadini con le stellette scoprono sulla loro pelle la medesima solitudine delle popolazioni civili che erano andate a "salvare".

Di ritorno dalla Somalia, il parà Marica era stato sottoposto a esami clinici nella caserma Vannucci di Livorno. Gli era stato detto che andava tutto bene. L’opinione pubblica non poteva immaginare nulla. Qualche mese dopo, però, i primi sintomi e il ricovero per una anemia emolitica. Meno di tre mesi fa il tribunale civile di Firenze gli aveva concesso un maxirisarcimento, per 545mila euro. Falco Accame, che con l’Anavafaf segue da dieci anni le vicissitudini dei soldati ammalati e delle loro famiglie, ha subito segnalato questa sentenza rivoluzionaria: «Perché finora s’è disquisito sui livelli di pericolosità dell’uranio. Ora è stato stabilito che quando non si può escludere un pericolo occorre adottare il principio di precauzione. Come ha detto la procura militare per Nassiriya». Lo stesso ematologo Mandelli, in un articolo del 2001 su una prestigiosa rivista, scrisse che non si poteva escludere la temibilità dell’uranio impoverito. Eppure Mandelli guidò una commissione scientifica per conto della Difesa con l’unico di obiettivo di ridimensionare l’allarme. «Ci sarà oggi qualcuno che sentirà il peso della responsabilità?», si chiede Accame, ex ammiraglio, di ritorno dai funerali di Marica: «Nonostante le richieste di assistenza, gli è sempre stato negato l’indennizzo. Aveva una pensione di 200 euro. E il tribunale di Firenze è arrivato tardi».

Marica resta il protagonista di un processo penale in corso a Roma. La denuncia inizialmente contro ignoti fu presentata da Liberazione nel luglio del 2000. Primi firmatari Curzi e Russo Spena. L’Anavafaf ha aderito alla denuncia con alcuni militari tra cui Marica, «il più combattivo», ricorda l’avvocato Pasquale Vilardo. Quel processo va avanti e, sul registro degli indagati, stanno per finire nomi eccellenti e bipartizan di inquilini di via XX Settembre.

fonte dirittiglobali.it

C. Muraglione

Questa voce è stata pubblicata in Politica interna. Contrassegna il permalink.