Italia-Libia: storie di rifiugiati, violenza, trafficanti. Film all’Arsenale.

Mercoledi 25 ore 16.30 e giovedì 26 ore 20.30, al Cinema Arsenale verrà proiettato il film
"Come un uomo sulla terra", dove, per la prima volta, la voce diretta dei migranti africani parla delle brutali modalità con cui la Libia controlla i flussi migratori.
 
Il film, prodotto su richiesta e grazie ai finanziamenti di Italia ed Europa, ha avuto poco risalto sui grandi mezzi di comunicazione, perché fatto con pochi mezzi e su un tema scottante.

Storie di rifugiati che, dopo il deserto e il mare, hanno smesso di nascondersi, e sono usciti allo scoperto, per camminare a testa alta, come un uomo sulla terra. Storie di rifugiati che accusano senza mezzi termini la polizia libica di violenze e torture nei campi di detenzione finanziati dall’Italia. Storie che ribaltano i ruoli. E fanno delle migliaia di “clandestini” che sbarcano sulle nostre coste, altrettanti testimoni di un durissimo atto d’accusa.

Troppo spesso infatti il dolore viene rimosso subito dopo l’arrivo a Lampedusa, viene vissuto come un dramma privato, coperto dall’onta. E invece non può non essere un dramma collettivo. Per il numero di persone coinvolte (oltre 50.000 deportati l’anno) e per le chiare responsabilità dell’Italia. Se queste storie passeranno sotto silenzio, sarà come far morire due volte le vittime dell’emigrazione africana. I loro corpi giacciono a migliaia sulle piste del Sahara e nei fondali del Mediterraneo. E chiedono giustizia.

Avete dimenticato la stretta di mano tra il Cavaliere e il Colonnello e la frase scolpita a suggello di quell’incontro: “Più petrolio, meno clandestini”? Nel film-documentario, Andrea Segre, Riccardo Biadene e Dagmawi Yimer esplorano la verità nascosta da quelle parole per raccontare l’inferno di violenze, arresti e connivenze tra polizia e trafficanti vissuto in Libia dai migranti (oltre 95mila tra 2006 e 2007) arrivati dal resto dell’Africa con la speranza di una vita migliore in Europa.
 
Sinossi del film [tratta dal sito ufficiale http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/]
 
Dag studiava Giurisprudenza ad Addis Abeba, in Etiopia. A causa della forte repressione politica nel suo paese ha deciso di emigrare. Nell’inverno 2005 ha attraversato via terra il deserto tra Sudan e Libia. In Libia, però, si è imbattuto in una serie di disavventure legate non solo alle violenze dei contrabbandieri che gestiscono il viaggio verso il Mediterraneo, ma anche e soprattutto alle sopraffazioni e alle violenze subite dalla polizia libica, responsabile di indiscriminati arresti e disumane deportazioni. Sopravvissuto alla trappola Libica, Dag è riuscito ad arrivare via mare in Italia, a Roma, dove ha iniziato a frequentare la scuola di italiano Asinitas Onlus punto di incontro di molti immigrati africani coordinato da Marco Carsetti e da altri operatori e volontari.
 
Qui ha imparato non solo l’italiano ma anche il linguaggio del video-documentario. Così ha deciso di raccogliere le memorie di suoi coetanei sul terribile viaggio attraverso la Libia, e di provare a rompere l’incomprensibile silenzio su quanto sta succedendo nel paese del Colonnello Gheddafi.
“Come un uomo sulla terra” è un viaggio di dolore e dignità, attraverso il quale Dagmawi Yimer riesce a dare voce alla memoria quasi impossibile di sofferenze umane, rispetto alle quali l’Italia e l’Europa hanno responsabilità che non possono rimanere ancora a lungo nascoste.
 
Il documentario si inserisce in un progetto di Archivio delle Memorie Migranti che dal 2006 l’associazione Asinitas Onlus, centri di educazione e cura con i migranti (www.asinitas.net) sta sviluppando a Roma in collaborazione con ZaLab (www.zalab.org), gruppo di autori video specializzati in video partecipativo e documentario sociale e con AAMOD – Archivio Audioviso Movimento Operaio e Democratico. Le attività della “scuola di italiano” Asinitas Onlus sono portate avanti con il sostegno della fondazione Lettera 27 e della Tavola Valdese. Il film è stato prodotto da Marco Carsetti e Alessandro Triulzi per Asinitas Onlus e da Andrea Segre per ZaLab. Si ringrazia per la collaborazione al progetto Mauro Morbidelli.
 
 

PER APPROFONDIRE…


Morire di frontiera.
Accade da vent’anni lungo i confini dell’Europa. Sono soprattutto naufragi, ma non mancano incidenti stradali, morti di stenti nel deserto come tra le nevi dei valichi montuosi, piuttosto che uccisi da un’esplosione negli ultimi campi minati in Grecia, dagli spari dell’esercito turco o dalle violenze della polizia in Libia. Per approfondimenti visita il sito di Fortress Europe [sito ufficiale], una rassegna stampa che dal 1988 ad oggi fa memoria delle vittime della frontiera: 13.444 morti documentate, tra cui si contano 5.182 dispersi.
 
Zeliha Passos
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