Ordinanza antiborsoni: a due giorni dalla manifestazione, il Sindaco corre ai ripari.

Mancano ormai due giorni all’attesissima manifestazione antirazzista che sabato attraverserà le strade di una Pisa diventata ormai simbolo della gestione dei problemi sociali nei termini di problemi di ordine pubblico.

L’evento assume una particolare importanza oltre che per il clima in cui si inserisce – mesi e mesi di tentativi di dialogo e di lotte, rispetto alle quali l’amministrazione comunale si è mostrata ugualmente sorda – per le modalità in cui è stato organizzato. È stato infatti lo stesso Coordinamento delle associazioni senegalesi in Toscana a indire una manifestazione che attacca frontalmente le scellerate scelte di un Sindaco che oggi tenta, malamente per la verità, di correre ai ripari. Come? Incontrando, a due giorni dalla manifestazione, i rappresentanti della comunità senegalese e presentando prima a loro, poi ai giornalisti, un documento che costituisce l’ennesimo tentativo di travisare il problema con cui si ha a che fare. I titoli degli articoli dedicati al documento comparsi oggi sui giornali cittadini la dicono lunga sulle sue caratteristiche: mentre per il Tirreno “Pisa tende una mano agli immigrati. Licenze speciali ai venditori stranieri” (e il sito del Comune di Pisa stesso, guarda un po’, riferisce la notizia titolandola “"Lotta all’abusivismo: il Comune tende la mano agli immigrati che vogliono lavorare e vivere nella legalità"), per la Nazione sono previsti “Bonus rimpatri anche per i vu’ cumprà. Comune e Società della Salute adottano il modello Rom”. Insomma, di che si tratta? Di un’apertura reale o dell’ennesimo tentativo di fare la voce grossa?

Già il fatto che i due quotidiani interpretino in modo opposto le parole di Sindaco e presidente della Società della Salute fanno presagire la fumosità e la vaghezza delle proposte fatte. Leggendole, l’impressione viene però confermata solo in parte. Si parla infatti di censimento dei ragazzi che lavorano, anzi lavoravano, al Duomo, di permessi di soggiorno facilitati (ma non per tutti ovviamente), della concessione di nuove licenze di vendita, di rimpatri assistiti, di aiuti in termini di cibo, fino, addirittura, al microcredito. Si parla anche, tuttavia, di aiuti solo “a chi sceglie la strada della legalità, perché Pisa è la città dell’accoglienza, ma solo con chi segue le regole”. Come può parlare di permessi di soggiorno un Comune che, come tutti i comuni, non ha la possibilità di concederli (come più volte lo stesso Filippeschi ha fatto notare, lamentandosi del fatto che il vero problema dei migranti è una legge nazionale che nega loro il permesso di soggiorno, e non i suoi poveri piccoli provvedimenti)? Su quale base Filippeschi dà per scontata una divisione tra chi sceglie la legalità e chi invece la rifiuta? Su quale base parla di fissare un tetto massimo per le presenze senegalesi in città? In base a quale principio si sceglierà a chi, tra coloro che sono al di sotto del “tetto massimo” e che “scelgono la legalità” dare – non si capisce bene come – il permesso di soggiorno, e dunque la licenza di vendita? Se da una parte la vacuità, la superficialità dei provvedimenti proposti è pienamente confermata, dall’altra proprio tali caratteristiche sono estremamente indicative della strategia adottata per affrontare la situazione. Una strategia basata sul tentativo di costruire ad arte il “problema abusivismo”.

Chiunque abbia una minima conoscenza della questione infatti, garantita ad esempio da una conoscenza diretta dei cosiddetti “venditori abusivi”, sa benissimo che l’illegalità di cui tanto si parla non è mai una scelta, bensì un obbligo, stabilito dalla legge italiana, che costringe migliaia di migranti alla condizione di clandestinità, e quindi di non-persone. Come si può parlare dunque di “persone che scelgono la legalità”? E come dovrebbero fare a scegliere la legalità? L’unica risposta plausibile è quella del rimpatrio. Anche a questo proposito, è sufficiente parlare con queste persone non per capire, ma quantomeno per immaginare cosa voglia dire abbandonare il proprio paese e la propria famiglia poco più che adolescenti per venire in Italia a subire umiliazioni, privazioni, sconfitte, e continuare a farlo per anni, perché comunque è meglio che morire di fame, o di guerra, perché così almeno garantisco un futuro ai miei figli, alla mia famiglia, perché tutto è meglio che morire di fame. Spendiamo infine due parole sul cosiddetto “commercio abusivo”. Forse il nostro sindaco, o i giornalisti della Nazione che sentono la necessità di avvertire i loro lettori che i Rolex comprati sotto la torre sono falsi, immaginano che i “commercianti abusivi” dopo aver faticato una giornata per vendere qualcosa se ne tornino in Mercedes nelle loro sontuose case acquistate con i lauti proventi del commercio abusivo. Beh, non è così. Gli ambulanti guadagnano cifre irrisorie, dal momento che non sono che l’ultimo, sfruttatissimo anello di una catena che inizia ben più in alto di loro. Si dirà, come è stato detto, che è utile – ma non si die che è anche facile – colpire l’anello più debole della catena. A questo punto però, se il vero problema non sono i venditori abusivi, ma i falsari, chiediamoci come mai il problema della falsificazione sia diventato una priorità nella lotta al crimine. Qualsiasi turista che acquista un Rolex in mezzo ad una strada, da un Senegalese, a qualche decina d’euro, sa benissimo che non sta acquistando un orologio da migliaia di euro che misteriosamente viene svenduto ad un prezzo un centinaio di volte inferiore. Consapevole che il suo stipendio ridotto da una crisi che ormai investe il mondo intero non gli permetterà mai di comprarsi un Rolex, acquista un altro prodotto, simile ad un Rolex, ma diverso.

Di fronte a tutto ciò c’è un’unica spiegazione: la giunta comunale di Pisa ha più a cuore le sorti dell’azienda che produce i Rolex che quelle di circa duecento persone costrette alla fame dai suoi provvedimenti!

J. Bonnot

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