Immigrazione clandestina: gli effetti collaterali degli accordi di cooperazione tra Italia e Libia

Il fenomeno degli sbarchi di immigrati irregolari continua a occupare, tragicamente, le prime pagine dei giornali e si susseguono le notizie di naufragi, con dispersi e annegati, in tutto il Mediterraneo. Per citare solo gli ultimi casi: il 31 marzo 2009, le agenzie di stampa danno notizia del possibile annegamento di oltre 200 migranti dell’Africa dopo l’affondamento, a 50km dalle coste libiche, della barca su cui viaggiavano. Gli occupanti di una seconda barca, con circa 350 persone a bordo, sono soccorsi e riportati in Libia.
 
Lo scorso 18 aprile, un mercantile turco, la Pinar, soccorre 145 migranti e dopo cinque giorni di palleggiamento di responsabilità tra Malta e Italia viene concessa da quest’ultimo paese l’autorizzazione allo sbarco in Sicilia. A bordo c’era il corpo in decomposizione di una giovane donna incinta. Nel 2008, nel solo Canale di Sicilia le vittime censite dalla rassegna stampa di Fortress Europe (http://fortresseurope.blogspot.com) sono state 642, contro le 556 del 2007, e le 302 del 2006. Altre 125 persone sono morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna. A fronte del numero di annegati e dispersi, ci sono i numeri di coloro che ogni anno sbarcano sulle coste italiane stremati ma vivi: circa 36.900 migranti nel 2008, 20.450 nel 2007, e 19.000 nel 2006. E secondo fonti del governo sono già oltre 6000 nel primo trimestre 2009.
 
Queste cifre danno la misura della crisi umanitaria che si sta svolgendo nel Mediterraneo e inducono a trarre due conclusioni: (1) che la traversata del Mediterraneo sta costando la vita ad un numero sempre maggiore di persone, e (2) che nonostante in Italia si sia registrata negli ultimi anni una notevole crescita delle attività di contrasto, gli arrivi di immigrati irregolari sulle coste italiane non accennano a diminuire.
Le responsabilita’ di questo sono attribuite alla Libia, l’unico punto di partenza realmente significativo per l’emigrazione irregolare via mare per l’Europa dopo il rafforzamento dei controlli operati nello stretto di Gibilterra.
 
Con la Libia, l’Italia ha da tempo instaurato un rapporto di collaborazione nella lotta alla migrazione irregolare. Il primo accordo fu firmato a Roma il 13 dicembre 2000 ed entrò in vigore nel dicembre 2002. La cooperazione italo-libica é stata in seguito rafforzata in materia di riammissione di cittadini di Stati terzi, con un accordo stipulato nel 2004, a partire dal quale si é visto un aumento considerevole delle espulsioni operate dall’Italia verso quel paese. L’esistenza di questo accordo di riammissione, mai reso pubblico, é stata confermata implicitamente nel corso di interpellanze parlamentari.
 
Un ulteriore accordo di cooperazione é stato firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007. In base a questo, i due paesi avrebbero intensificato le attività di controllo attraverso pattugliamenti congiunti delle coste libiche con motovedette italiane ed equipaggi misti.
Le numerose iniziative dell’Italia non hanno però prodotto i risultati sperati e gli sbarchi dalle coste libiche continuano imperturbati. A fronte dell’accusa di non onerare gli accordi presi con l’Italia per il contenimento degli sbarchi e il controllo delle sue frontiere, la Libia adduce la mancata erogazione di fondi stanziati negli accordi con l’Italia (Migration News Sheet, January 2009). In sostanza, la Libia batte cassa e il contenzioso coloniale le consente di aumentare la posta in gioco.
 
Si arriva così al più recente, e probabilmente conclusivo, accordo, il Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, documento pubblicato dal quotidiano La Republica il 23 ottobre 2008. In esso l’Italia s’impegna allo stanziamento di 5 miliardi di dollari da erogare nell’arco di un ventennio come compensazione per l’occupazione coloniale, da impiegare tra le altre cose per la realizzazione di progetti infrastrutturali, assegnazione di borse di studio a studenti libici e ripristino del pagamento delle pensioni per soldati libici che servirono l’Italia nella seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda il contrasto all’immigrazione clandestina, le due parti si impegnano, all’articolo 19, a promuovere “la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze technologiche.”
 
Il Governo italiano s’impegna a sostenere il 50% dei costi, mentre per il restante 50% verrà chiesto all’Unione Europea di farsene carico (sulla base di un’imprecisata intesa raggiunta in passato tra la Libia e l’Unione Europea). Italia e Libia inoltre collaboreranno alla definizione di iniziative per prevenire il fenomeno della immigrazione clandestina nei paesi d’origine dei flussi migratori. Si ipotizzano sistemi diversi di controllo, sia radar sia elettronici, per un costo totale a carico del governo italiano di 150 milioni di euro.
Il 4 febbraio 2009 il Ministro dell’Interno Roberto Maroni si reca a Tripoli per firmare il protocollo di attuazione dell’Accordo di collaborazione fra Italia e Libia del dicembre 2007 (Adnkronos, 4 febbario 2009).
 
Il 10 febbraio la Commissione Europea offre alla Libia un pacchetto finanziario di 20 milioni di euro per il rafforzamento delle frontiere. Ulteriori fondi verranno messi a disposizione a partire dal 2011 (Migration News Sheet, marzo 2009). Il responsabile del Viminale annuncia fiducioso che dalla metà di maggio, quando è previsto l’inizio del pattugliamento congiunto con la Libia, “potremo vedere drasticamente ridotta se non, come mi auguro, definitivamente conclusa l’affluenza di clandestini sulle coste delle isole italiane, in particolare Lampedusa, con l’inizio di una nuova stagione che riguarda i flussi di immigrati regolari” (Adnkronos, 18 marzo 2009).
 
Sono necessarie a questo punto varie precisazioni e riflessioni. La prima é che siamo di fronte ad un travisamento del fenomeno della immigrazione clandestina che viene associato, in buona parte per la prevalente attenzione mediatica, quasi esclusivamente all’attraversamento irregolare delle frontiere marittime italiane. Come rileva lo stesso Ministero dell’Interno, l’ingresso via mare “costituisce un canale di ingresso marginale, sotto il profilo delle dimensioni, e contribuisce in maniera modesta, e decrescente, allo stock di immigrati irregolari presenti in Italia” (Rapporto sulla Criminalità in Italia. Analisi, Prevenzione e Contrasto, 2007).
 
Lo ‘stock’, come é definito nel gergo burocratico, é costituito in larga misura (64%) da overstayers, ovvero individui inizialmente entrati in Italia regolarmente (con un visto o in regime di esenzione dal visto) per lo più attraverso le frontiere aeroportuali.
In secondo luogo, nonostante il forte allarme sociale, si registra il persistere di un’attenzione per lo più sensazionalistica verso questi viaggi e la mancanza di analisi approfondite che permettano di comprendere meglio le dinamiche che ne sono alla base. Un’eccezione sono le analisi lucide e approfondite del giornalista Fabrizio Gatti nei suoi reportage per l’Espresso (si veda ad esempio l’articolo del 24 marzo 2005 L’ultimo viaggio dei dannati del Sahara) e nel suo eccellente libro Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini, dove raccoglie le testimonianze dei migranti che ha accompagnato attraverso il sahara sulla rotta verso l’Europa, spiegando le loro motivazioni, descrivendo i costi ed i meccanismi attraverso cui operano i trafficanti di vite umane e le ripercussioni delle misure imposte dal regime di Gheddafi dopo l’accordo con l’Italia per bloccare gli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste.
 
Infine, ed è questo l’aspetto più preoccupante, in tutti i dibattiti istituzionali e mediatici intorno alla collaborazione italo-libica per il contrasto dell’immigrazione clandestina si trascura di fare anche solo cenno alle brutali modalità con cui la Libia controlla i flussi migratori, su richiesta e grazie ai finanziamenti di Italia ed Europa. Questi sono stati ampiamente documentati da organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch (http://www.hrw.org/reports/2006/libya0906/libya0906itweb.pdf), il cui rapporto sulla Libia denuncia arresti arbitrari, soprusi sistematici, detenzioni prolungate in condizioni precarie e deportazioni forzate di migliaia di stranieri presenti in Libia. Vengono messe in rilievo in particolare le deportazioni in massa in Eritrea, dove il governo detiene e presumibilmente tortura i rimpatriati dalla Libia. Si fa riferimento anche alle condizioni disumane nei campi di detenzione libici, alcuni dei quali costruiti con finanziamenti dell’Italia.
 
La denuncia di gravi abusi perpetrati in questi centri di detenzione istituiti con soldi italiani è stata oggetto di una interrogazione a risposta scritta presentata il 1 ottobre 2008 dai senatori Perduca, Poretti e Maritati ai ministri degli affari esteri e dell’interno (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=00391191&part=doc_dc-allegatoa_aa-ddltit_ddldasda44c3dr1333-oggetto_a1e2dddl&parse=no). L’iter di questa domanda sembra essere ancora in corso.
 
Le testimonianze sulle disavventure di questi migranti in Libia, legate non solo alle violenze dei contrabbandieri che gestiscono il viaggio verso il Mediterraneo, ma anche e soprattutto alle sopraffazioni e alle violenze subite dalla polizia libica e alle disumane deportazioni, sono state raccolte in un video-documentario, Come un uomo sulla terra, la cui proiezione in varie località italiane è stata accompagnata da una petizione al parlamento italiano ed europeo, alla commissione europea e all’UNHCR (L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) per fermare le violenze inflitte a migliaia di persone dalle autorità libiche al fine di fermarne l’emigrazione verso l’Europa e perché vengano accertate le responsabilità italiane rispetto a questa situazione (http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/).
 
É inaccettabile che il governo italiano continui ad ignorare quanto sta avvenendo in Libia e a sciorinare dati sugli sbarchi riempendosi la bocca sulla efficacia della cooperazione italo-libica per il contrasto dell’immigrazione clandestina, che propone a modello per i rapporti tra Europa e Africa. Questo modello non risolve la crisi umanitaria, semmai provoca altre stragi, meno visibili, come ha recentemente confessato Rosy Bindi in una puntata di Annozero andata in onda il 29 gennaio 2009 (Io non ti salverò) in cui, a proposito dell’ultimo trattato italo-libico, che il PD ha votato, dice di nutrire molti dubbi nei confronti di quell’accordo e dichiara: “è vero che noi avevamo iniziato quel percorso ma non l’avevamo mai finito perché non c’avevamo mai messo tutti quei soldi, si è concluso perché ci sono stati messi tutti quei soldi…ciò che però io vivo con grande disagio di quel trattato è che i respingimenti avverranno nel deserto, cioé la Libia e i privati che collaboreranno con la Libia bloccheranno i disperati nel deserto, cioé non solo ci sono tanti morti in fondo al nostro mare, il Mediterraneo, ma ci sono e ci saranno ancora più morti nel confine del deserto dove arrivano i disperati.”
 
Questa confessione, che più che dalla volontà di informare sembra essere stata dettata dal bisogno di alleggerire la propria coscienza, è straordinaria e dimostra che la nostra classe politica è a conoscenza dei fatti gravi che avvengono in Libia ma preferisce considerarli effetti collaterali dell’intensa cooperazione italo-libica per il contrasto dell’immigrazione clandestina.
 
Per Aut-Aut, Anneliese Baldaccini
 
Leggi l’articolo e guarda il video pubblicato su Repubblica che mostra le immagini dei gommoni in procinto di partire e il raid militare che li blocca, anche sparando.
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