la declamazione, in diretta tv, dei nomi di quei tremila e più
sventurati sepolti dalle macerie. Il ricordo di quelle povere vittime,
negli intenti di questo piccolo blog pisano, si associa al ricordo e
allo sdegno per tutti quelli uccisi dalla vendetta americana in giro
per il mondo (Iraq, Afghanistan …); e per elencare tutti i loro nomi
non basterebbero giorni e giorni di diretta televisiva.
Ci preme ricordare oggi un altro 11 settembre, quello cileno. L’11
settembre 1973, 35 anni fa, per diretto intervento della Cia, ispirata
dal presidente americano Nixon e dal fido consigliere Kissinger, il
generale Augusto Pinochet con un colpo di stato, un golpe delle
forze armate, mise fine alla presidenza e alla vita del socialista
Salvador Allende, e insieme alle speranze di rinnovamento di un popolo,
bombardando pesantemente il palazzo presidenziale, e instaurando per
decenni una dittatura feroce contro qualsiasi tipo di opposizione o
sospetta tale.
Salvador Allende era un rivoluzionario democratico. La sua utopia era
stata quella di risollevare le sorti del suo paese dalla prepotenza
delle aziende e compagnie americane, prima fra tutte la Itt che ne
sfruttava gli immensi giacimenti di rame, attraverso l’arma del voto e
del consenso popolare. Ma non solo: Allende era socialista, era amico
di Fidel Castro quando la piccola Cuba si faceva beffe del gigante
statunitense; Allende era amatissimo dalla maggioranza del suo popolo,
che gli aveva fatto vincere elezioni democratiche e che lo accompagnava
a fiumi in ogni uscita pubblica al grido: «Allende, Allende, el pueblo
te defende»; e era odiatissimo da tutti gli altri cileni, che
paventavano il potere degli straccioni, che aborrivano allo stesso modo
la campagna di nazionalizzazione delle grandi imprese (americane e
cilene) e gli espropri dei grandi latifondi incoltivati, e la loro
redistribuzione ai consigli di fabbrica e ai contadini.
«Make the economy scream»,
«fate urlare l’economia [cilena]»: così annotava il direttore della Cia
Richard Helms sul suo bloc-notes un memorandum di un suo incontro
avvenuto il 15 settembre 1970 con Nixon e Kissinger registrando gli
ordini del presidente degli Stati Uniti di incoraggiare un colpo di
stato in Cile. E da lì un susseguirsi di attentati, di uccisioni
mirate, finanziamenti dell’ordine di decine di milioni di dollari,
traffici d’armi, appoggio a gruppi fascisti come Patria y libertad,
sollevazioni dell’esercito, corruzione di giornalisti per preparare
l’opinione pubblica, appoggio e copertura di scioperi pilotati per
destabilizzare il paese (come quello dei camionisti).
Tutto provato,
tutto registrato e catalogato minuziosamente (visibile addirittura on-line) dai
National archives americani che (come sono democratici questi
americani), in nome della “trasparenza”, hanno raccolto l’ordine
dell’amministrazione Clinton, nel 1998, a “declassificare” e rendere
noti gli atti top-secret delle malefatte compiute dagli Stati
Uniti in Cile. Consigliamo di darci un’occhiata: la visione degli atti
originali va oltre qualsiasi commento.
E on-line anche il giubilo del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, che considera la riuscita del golpe l’11 settembre 1973 come «our D-Day», e giudica il «coup de etat» cileno «vicino alla perfezione». On-line i rapporti dell’Fbi sugli interrogatori agli oppositori, condotti insieme alla polizia segreta cilena della famigerata “Operazione Condor”.
Secondo il rapporto
della Commissione nazionale cilena per la verità e la riconciliazione,
la dittatura militare cilena diretta tra il 1973 e il 1990 dal generale
Augusto Pinochet fu responsabile della morte o della scomparsa di oltre 2.000 persone, mentre 27.555 persone sono state vittime di torture o di detenzione politica.
Ecco il profilo delle vittime tracciato dalla Commissione (1991) e
quello sulla detenzione politica e sulla tortura (2004), conosciute
anche con i nomi dei loro presidenti, Raul Rettig e Sergio Valech:
– Totale dei morti e dei dispersi 2.279 secondo il rapporto Rettig. La
cifra comunemente indicata dai media è di circa 3000 tra assassinati e
dispersi. Di questi
– il 94,5% erano uomini (2.153) (rapporto Rettig);
– il 97,76% erano cileni (2.228) (rapporto Rettig);
– il 17,8% (405) appartenevano al Partito socialista;
– il 16,9% (384) al Movimento della sinistra rivoluzionaria (MIR, di estrema sinistra)
– il 15,5% (353) al Partito comunista.
– il 46% non aveva un passato conosciuto come militante politico (rapporto Valech);
– su
33.221 persone arrestate tra il 1973 e il 1990, 27.255 sono state
riconosciute vittime di detenzione politica e di tortura dalla
commissione Valech. La stampa parla generalmente di oltre 30.000
persone torturate;
– il 68,7% (22.824) furono arrestate nel 1973;
– l’ 87,5% (23.856) erano uomini;
– il 44,2% (12.060) avevano tra i 21 e i 30 anni e il 25,4% (6.913) tra i 31 e i 40.
hanno maturato le tattiche che poi avrebbero messo in pratica,
direttamente o per interposto dittatore, nel “cortile di casa” del loro
impero, il Sudamerica, e non solo – la vicenda di Gladio insegna. E la
lezione fu chiara anche a tutti i partiti comunisti occidentali: risale
proprio al dopo-11 settembre 1973 la decisione del Pci di Berlinguer
di abbandonare per sempre le residue velleità della conquista del
potere, come Partito comunista, tramite le elezioni, e l’inizio della
politica del «compromesso storico» con gli altri partiti dell’arco
costituzionale (in primis la Dc) che tante conseguenze continua ad avere nella politica italiana di oggi.