Morire di carcere: Stefano Cucchi

Ci risiamo. Come Marcello
Lonzi
, Federico
Aldrovandi
, Aldo
Bianzino
, Manuel
Eliantonio
, e chissà quanti altri, deceduti improvvisamente mentre si trovavano
nelle mani delle “forze dell’ordine” dello Stato italiano. Stavolta è toccato a
Stefano Cucchi: 31 anni, arrestato a metà ottobre per il possesso di 20 grammi di hashish (!), morto in
carcere – nelle supercontrollate carceri italiane – una settimana dopo, senza
che nessuno abbia saputo spiegarne i motivi.
 
Di sicuro c’è poco: le
foto del suo corpo martoriato (così commentate da Repubblica:
«il volto tumefatto, una maschera violacea attorno agli occhi, uno dei quali
schiacciato nell’orbita, sulla palpebra un ematoma bluastro, la mandibola
spezzata… la schiena fratturata all’altezza del coccige»), e un primo
certificato di morte che davanti a uno strazio del genere attestava come il
decesso fosse avvenuto per "presunta morte naturale".
 
Di sicuro c’è
il dolore dei familiari, ai quali, prima di ricevere la richiesta di
autorizzazione a svolgere l’autopsia (in questo modo hanno saputo della morte
del loro congiunto) è stato negato per giorni e con scuse assurde («ci manca
l’autorizzazione… ») di incontrare Stefano, che avevano scorto da lontano con
il volto tumefatto il giorno dopo l’arresto, durante il processo per
direttissima.
 
Familiari che innanzitutto, nella disperata ricerca di verità e
giustizia, hanno acconsentito alla pubblicazione delle foto del cadavere del
figlio, e possiamo comprendere con quanto ulteriore dolore (foto che anche noi
linkiamo, avvertendo ulteriormente del fatto che la
loro visione può colpire pesantemente la sensibilità
); e si sono poi
esposti in primo piano in una campagna di sensibilizzazione e di denuncia che
sta attraversando i media italiani, scuotendo in qualche modo i palazzi del
potere e costringendo a prendere parola illustri rappresentanti dello Stato.
 
I
quali, con posizioni
perlomeno omertose, pur auspicando formalmente l’accertamento della verità,
spendono gran parte delle loro parole per difendere l’onorabilità dei
carabinieri (come ha fatto il ministro della Difesa La Russa) i quali, sembra,
avevano in consegna il detenuto al momento del decesso; oppure per esprimere « fiducia
nell’operato della Polizia Penitenziaria che, ogni giorno, svolge i suoi
delicati compiti con abnegazione e in contesti difficili», o avvalorare tesi
assurde («una caduta accidentale dalle scale»), come ha fatto il ministro della
Giustizia Alfano.

In questa situazione ieri è stata aperta un’inchiesta dalla
procura di Roma per omicidio “preterintenzionale”. Come dire: se c’è stato
omicidio, questo è avvenuto “al di la delle intenzioni” di chi l’ha ridotto
così…

 

Desmond G.

 

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Dossier "Morire di carcere" – anno 2009.


31 Ottobre, 2009

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