Il Babau di Collane di Ruggine

 Qualche settimana fa, presso lo Spazio Antagonista Newroz, un gruppo di ragazzi di Firenze ha presentato il progetto Collane di Ruggine. Alla base di esso, hanno spiegato, una constatazione semplice ma non ovvia: molto spesso le persone impegnate attivamente all’interno di movimenti politici leggono molto ma soprattutto scrivono molto. Se tuttavia le loro letture si trovano spesso tra la letteratura, le loro "opere" sono sempre di carattere saggistico – volantini, comunicati, manifesti -. Perchè non provare dunque ad inserire contenuti politici all’interno di una cornice letteraria? 

Per tentare l’esperimento i ragazzi di Ruggine si sono affidati allo Steampunk, sottogenere della fantascienza che si inserisce non nel futuro, ma in un ottocentesco passato in cui esistono le tecnologie a cui oggi siamo abituati. 

Così come per quanto riguarda volantini e altri prodotti simili, anche
i prodotti di Ruggine sono completamente autoprodotti, autofinanziati,
e autodistribuiti. Il valore politico dell’iniziativa non sta dunque
solo nel contenuto.

Accanto ai numeri di Collane di Ruggine, esce in questi giorni un nuovo esperimento editoriale, che unisce grafica e narrativa: Il Babau. Trenta cartoline contro la politica della paura. Riportiamo di seguito un articolo uscito sul Magazine on line Carmilla che recensisce l’opera:

J. Bonnot

 

Il Babau. Trenta cartoline contro la politica della paura

 
di Alberto Prunetti
 
In un’epoca di artificiose costruzioni securitarie la gente si “percepisce” sempre più insicura digerendo telegiornali che minacciano l’avvento di orde di invasori migranti, bande di rom dediti a presunti sequestri di bambini, accolite di terroristi anticristiani. Per ridicolizzare questa propaganda del terrore un gruppo di attivisti del collettivo Collane di ruggine ha dato alle stampe una serie di divertenti cartoline sul tema del Babau. Chi è il Babau? La risposta arriva dagli stessi creatori del progetto:
“Il Babau è l’ultima frontiera nella politica dell’ansia. Semplice e primordiale paura. Diverso dal terrore, più simile alla goccia che ti cade in testa e pian piano ti porta incosapevolmente alla pazzia. […]
L’ansia di sicurezza, la paura del proprio simile, il rancore confuso e convulso che trasudano da ogni dove in questi anni difficili trovano la propria naturale conclusione nell’avvento del Babau. Non ci sarà più bisogno di invocare/creare/inventare emergenze e pericoli, tutti avranno paura del buio e basterà invocare il Babau perché ogni complessa manovra di ingegneria sociale trovi una giustificazione.”
Il progetto è costituito da una serie di trenta cartoline raccolte in un cofanetto. Ogni cartolina presenta da un lato un’opera grafica e dall’altro un racconto breve. Il cofanetto, totalmente autogestito, esce sotto una licenza creative commons e può essere sostenuto economicamente e coprodotto attraverso produzioni dal basso. Di seguito pubblichiamo due racconti brevi tra quelli che corredano le cartoline, ovvero i contributi di reginazabo e Alberto Prunetti.
 
Manicure
 
di reginazabo
 
Nunzia non si direbbe, giovane com’è, che tiene un marito e una figlia,
però è lei che manda avanti la casa: Pasquale non ci sta mai, rientra
tardi e quando torna è stanco, vuole cenare e la creatura deve già stare
nella culla. È normale: il lavoro che fa è pesante, anche se di soldi
ancora non se ne vedono tanti. Prima pure lei lavorava, in un locale a
Posillipo, ma poi è rimasta incinta, che doveva fare.
Se pensa alla bella gente che passava da lì, le viene nostalgia: se non
ci rimaneva, prima o poi uno che la faceva sfondare lo trovava. Una sera
uno le ha detto: Bella voce, mai pensato di fare la cantante? Nunzia non
sapeva che dire, poi quello non le toglieva gli occhi dalla scollatura.
Per staccarseli di dosso, ha preso la giacca ed è andata ad appenderla.
Quando è tornata, lui non c’era più.
Dopo le nozze, con Pasquale sono andati a stare dirimpetto ai genitori.
Mo’ lei sta a casa: con la piccerella, di trovare un posto non se ne
parla, e poi lui mica si accontenta della femmina. Almeno un maschio
glielo deve fare.
Femmina e buona, comunque, un bello spavento se l’è pigliato pure lui
quando ha sentito che Lisetta l’aveva rubata una zingara: subito a casa
è corso, a rischio che non lo facevano più faticare.
La bambina non era stata rubata davvero, ma quando è arrivato Nunzia gli
ha spiegato tutto e lui si è calmato. È stato a fin di bene, ha detto:
quei zozzoni prima o poi se ne dovevano andare, ché a vedere quei bimbi
zellosi e quelle femmine stracciate non si sta mai tranquilli.
E poi ora è sicura: quando le creature si fanno grandi, a lei una
bottega di manicure nessuno gliela toglie. Don Ciro l’ha promesso, ha
giurato sulla testa dei figli. E lui è uno che alla famiglia ci tiene,
quindi Nunzia non deve più avere paura finché campa.
 
Bins of fear
 
di Alberto Prunetti
 
Ero nella terra d’Albione il giorno in cui tolsero i cestini della spazzatura: terra di fast food, di piogge inesauste, di mucche pazze e disperatissime. Eccoli gli inglesi – così polite e correct – così propensi alla degustazione di quintali di incartatissimi sneck. Pensate a migliaia di mani che scartano queste orride merende al glucosio – pensate alla rabbia di tutti quei cervelli che non trovano un cestino e devono commettere un crimine tanto orrendo: gettare per terra la cartaccia! È colpa degli irlandesi! Sono loro che hanno messo le bombe dentro ai cestini! – è colpa loro se bisogna gettare tutto per terra – se ci tocca sporcare la nostra amata patria – dover compiere un gesto così sconveniente – decine di volte al giorno – quale idea migliore per moltiplicare il rancore e la paura contro il nemico – dover ricordare a ogni sussulto dello stomaco che ti minacciano nelle cose più intime – nelle vecchie ordinate abitudini – e non trovare un maledetto strafottutissimo cestino! Così migliaia di cartacce cascano per terra ogni giorno mentre i cartelli si moltiplicano ovunque: a causa di circostanze impreviste e per ragioni di sicurezza, questo centro commerciale ha rimosso ogni cestino. Vi preghiamo di incazzarvi con gli irlandesi. Grazie.
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