Georgia: Senato russo riconosce indipendenza Abkhazia e Ossezia del Sud

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Mosca  – Il
Consiglio della federazione, la camera alta del parlamento russo, ha approvato
all’unanimità una mozione che sollecita il Cremlino a riconoscere
l’indipendenza
delle regioni separatiste filo-russe di Abkhazia
e Ossezia del Sud. Al termine di una seduta straordinaria a Mosca,
la risoluzione sullo status delle due province autonome georgiane è stata
votata e trasmessa al presidente russo Dmitry Medvedev.

Il voto del Parlamento non vincola il Cremlino. Tuttavia la
posizione adottata dai deputati conferirà al presidente russo Dmitry Medvedev
un ulteriore argomento a favore di Mosca nelle
consultazioni con Unione europea e Stati Uniti sul conflitto in Georgia.

Il presidente della Duma russa Boris Grizlov ha
detto oggi di ritenere che la camera bassa del parlamento russo approvera’
anch’essa, come i senatori del Consiglio della federazione, un appello al
leader del Cremlino Dmitri Medvedev perche’ venga riconosciuta da Mosca
l’indipendenza delle due repubbliche separatiste georgiane di Ossezia del sud e
Abkhazia.

Intervenendo a una mostra fotografica sulle conseguenze dell’attacco georgiano
dal titolo ”Ossezia del sud: cronaca di un genocidio”, riferisce l’agenzia
Itar-Tass, Grizlov ha paragonato il blitz di Tbilisi all’aggressione nazista
del 1941 contro l’Urss. Nei giorni scorsi Medvedev aveva assicurato ai leader
secessionisti, il sudosseto Eduard Kokoity e l’abkhazo Serghei Bagapsh, di
essere pronto a riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche georgiane se i
rispettivi popoli lo avessero chiesto. Sudosseti e Abkhazi si sono gia’
pronunciati, in referendum con maggioranze bulgare, per la secessione, e i due
parlamenti nei giorni scorsi hanno votato all’unanimita’ la richiesta di
riconoscimento a Mosca.

Vladimir Putin, prima di lasciare il Cremlino, ha
dato chiare disposizioni al nuovo governo di Medvedev su come comportarsi
riguardo alla Abkhazia e all’Ossezia del Sud. Questa volta non è al fianco
della sovranità di governo ma dei separatisti.

Questioni
di gas

Il quadro che si prospetta diventa particolarmente
problematico per la stabilità della regione caucasica ed il problema più
rilevante riguarda la nuova avanzata imperialista russa che democraticamente
sta ricostruendo una dittatura economica e politica simile sotto certi aspetti
a quella statunitense in molte zone dell’America del Sud. Ma nessuno si cura
del nuovo blocco russo che avanza. Già un anno fa la tensione fra Tiblisi e
Mosca si era intensificata con la battaglia diplomatica per la conquista del
monopolio del gas. Alla Georgia venne negata la possibilità di comprare gas
iraniano dagli Stati Uniti, mentre la Gazprom, grande società russa, crea un
allaccio tra la patria e l’Ossezia del Sud dal grande gasdotto mediorientale
Iran –Armenia che porta gas a tutta Europa, ufficialmente per incrementare la
disponibilità (anche se la regione è quasi priva di industrie), ufficiosamente
per non farlo passare in territorio georgiano e aumentare il costo. In questa
maniera si spiega il grande interesse di Putin e Medvedev verso i problemi
secessionisti di questa zona caucasica.

Cenni
storici sulla Georgia
OsservatorioCaucaso.org

La Georgia rappresenta certamente la repubblica
caucasica che ha faticato più delle altre nel trovare una stabilità interna,
essenziale per il successo del processo di transizione socio-economica iniziato
dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il paese, erede di un regno centenario, è
caratterizzato dalla presenza di numerose minoranze etniche, spesso concentrate
in ristrette aree geografiche: Abkhazi in Abkhazia, Osseti in Ossezia del Sud,
Armeni nello Javakheti e Georgiani mussulmani in Ajara.

Durante i 70 anni di dominio sovietico, alcune delle
questioni etnico-politiche che avrebbero poi sconvolto nei primi anni 90
vennero già a galla, specie per quanto riguarda la questione
dell’indipendenza/autonomia abkhaza. Nonostante il cambiamento di alcuni
confini amministrativi e autonomie regionali, il paese godette di una relativa
quiete politica, specie fino alla morte di Stalin, lui stesso georgiano, che
aveva sempre favorito l’elemento georgiano di fronte alle numerose minoranze.
Già in epoca sovietica, la Georgia si contraddistinse per l’elevato livello di
corruzione e la capacità di ottenere una relativa autonomia da Mosca grazie
alla presenza di alcuni georgiani fra le file dei più alti vertici del potere
sovietico.

Il primo decennio d’indipendenza

In seguito al fallito colpo di stato nell’agosto del 1991 a Mosca, la
stragrande maggioranza della popolazione georgiana votò per l’indipendenza e il
distaccamento dall’Unione sovietica, votando alla presidenza il leader
nazionalistico Zviad Gamsakhurdia, che aveva giocato un ruolo di rilievo anche
nei movimenti d’ opposizione georgiani degli ultimi anni ottanta. Tuttavia,
l’eccessivo accento del neo-presidente su temi nazionalistici georgiani e di
personalizzazione del potere, così come la presenza di altre fazioni politiche,
spesso fiancheggiate da bande paramilitari, in grado di fare leva sui timori di
"georgificazione" delle numerose minoranze etniche del paese, reso la
stabilità politica un miraggio ancora lontano. Già nel 1992, Eduard
Shevarnadze, già noto per aver diretto la politica estera sovietica dell’epoca
gorbacheviana, si insediava come nuovo presidente del paese.

La Georgia restava comunque uno stato tutto da creare, prim’ancora che da
pacificare. Oltre al conflitto nord-osseto, scoppiato già durante gli anni di Gamasakhurdia,
nel 1992, l’Abkhazia, regione del nord-ovest del paese confinante con la
Russia, si era dichiarata indipendente da Tblisi, dando vita ad un conflitto
armato che si sarebbe concluso solo nell’estate del 1993. A ciò si aggiungeva
l’aperto conflitto delle autorità centrali con bande militari (la più
importante delle quali, quella degli Zviadisti, legata al ex-presidente
Gamsakhurdia), che minacciava la stessa sopravvivenza dello stato georgiano.
Solo in seguito all’intervento della Russia, che, dopo aver appoggiato i
movimenti indipendentisti di Abkhazia, Ossezia e la rivolta degli Zviadisti,
pose Shevarnadze di fronte ad un ultimatum ( o accettare truppe russe nel
territorio georgiano e garantire la partecipazione di Tblisi alla CSI, oppure
dire addio a qualsiasi velleità di integrità territoriale), la situazione parve
stabilizzarsi.

La presidenza Shevarnadze si protrasse per 11 anni, senza saper far fronte
all’enorme mole di problemi a cui il paese doveva far fronte. La mancanza di
significativi progressi nella risoluzione delle crisi abkhaze e ossete, lo
stallo delle riforme economiche, la dilagante povertà delle aree rurali e la
corruzione ormai endemica che faceva addirittura rimpiangere il periodo
sovietico, furono tutti elementi che portarono alla defenestrazione di
Shevarnadze nel novembre del 2003, in seguito ad un’ondata di proteste contro i
risultati e la condotta delle elezioni parlamentari di quell’autunno.

Le elezioni del 2003-2004 e il nuovo corso georgiano

L’elezione di Mihail Saakashvili alla presidenza georgiana a inizio del 2004 e
il successo dell’alleanza democratica che lo sostiene nelle elezioni del maggio
del 2004, sembrano aver inaugurato una nuova fase per il paese. Dopo aver
favorito una serie di riforme volte al rafforzamento dell’esecutivo e approvate
da gran parte della comunità internazionale, Saakashvili si è concentrato sulla
risoluzione delle crisi separatistiche che ancora affliggono il paese.

Dopo un primo successo nella regione meridionale dell’Ajara, riportata sotto il
diretto controllo di Tblisi, dopo anni di semi-indipendenza sotto la guida del
leader locale Abashidze, l’entourage di Saakashvili si è dovuto scontrare con
alcuni insuccessi tanto in Ossezia del Nord che in Abkhazia, dove la posizione
delle forze indipendentiste, così come gli interessi russi, appaiono più
consolidati.

 

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