ORDINANZE DEMOCRATICHE

I fatti parlano da sé: seguendo un trend nazionale, l’estate pisana è stata caratterizzata da un singolare connubio tra un prefetto, Basile, che alza la palla, un sindaco-sceriffo, Filippeschi, (anche se, viene da dire, di caratura ben inferiore del suo omologo bolognese, a cui tutti sembrano ispirarsi: un Cofferati dei poveri, insomma) che schiaccia, e una stampa cittadina, «Tirreno» in testa, che applaude sussiegosa dagli spalti.

Mai si era vista in città una tale organicità di intenti tra i diversi poteri: non una voce contraria si alza, e solo i comitati dei cittadini (composti da percentuali irrisorie di cittadini “esasperati”) che urlano dài sindaco, insisti, arrestali tutti, facce sognà, ottengono la giusta cassa di risonanza dai giornali e diventano “opinione pubblica”.

A partire dal 5 agosto, da quando cioè il ministro Roberto Maroni ha firmato il decreto che concede ai sindaci pieni poteri in materia di sicurezza, il sindaco-sceriffo è divenuto dunque una pesante realtà anche a Pisa. Nel mirino di Filippeschi ci sono ambulanti, studenti, mendicanti, writers, rom e migranti, tutti coloro che oltraggiano il decoro urbano. Il nefasto connubio Pd-Lega, che a livello nazionale si è attuato in una serie di incontri al vertice nelle varie Feste Democratiche (un esempio per tutti: a Bologna Flavio Tosi, sindaco di Verona, leghista con dichiarate simpatie fasciste, senza contraddittorio e in assenza dell’omologo Cofferati è riuscito a trascinare dalla sua la platea con un lungo sermone su sicurezza e criminalità) finalizzati allo scambio tra pacchetti-sicurezza con accordi sul federalismo fiscale (un tempo simbolo della secessione del “mostro padano”), nelle città è stato formalizzato da una serie di ordinanze che limitano la libertà e aumentano il controllo sociale. C’è solo l’imbarazzo della scelta: si è passati da quella sorta di “premio di produzione” di 500 euro per ogni clandestino fermato e portato in questura, promesso agli agenti della polizia municipale di Adro (Lombardia), all’interdizione dell’accattonaggio nei pressi delle chiese ad Assisi, città di San Francesco; a Novara non sono consentiti gruppi formati da più di due persone durante la notte; non sono poi mancati i divieti di sdraiarsi nel parco a leggere un libro, di costruire castelli di sabbia, di usare un linguaggio volgare ed offensivo, di mettere piercing sulle parti “intime”ecc.

E Pisa non poteva essere da meno: il sindaco Marco Filippeschi ha voluto subito sfruttare la legge leghista 125/2008, proponendo alla Prefettura un pacchetto di "misure per la sicurezza e il decoro urbano", tuttora in fase di elaborazione e perfezionamento. Se non fosse una tragedia ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate: le “prove generali” delle ordinanze prevedono, tra gli altri, il divieto di introdurre «borsoni», non consoni al decoro urbano, in aree monumentali o di forte afflusso come mercati, centro storico e parcheggi. Nessuno ha spiegato quali dimensioni segnino il limite tra borsine, borsette e borsoni: probabilmente sarà lasciato al buon senso dei solerti vigili urbani, che dopo aver stabilito quali sono le dosi “personali” di alcool che uno può portare con sé nelle calde serate pisane, stabiliranno anche in questo campo i criteri migliori.

Noi, che siamo in malafede, pensiamo che la borsa di un migrante, di un Rom, sarà considerata più offensiva al decoro di altre, e che dunque avrà maggiori probabilità di ricadere nella vituperata categoria dei «borsoni».

Seguono poi le misure antiaccampamento, per rafforzare la lotta contro i Rom, il bersaglio preferito (forse perchè più indifeso?) della nuova giunta; basti ricordare come l’assessora alle politiche sociali Settimelli abbia ridimensionato il progetto “città sottili” per rimettere in discussione proprio la presenza dei Rom sul suolo cittadino. E ancora, l’inasprimento delle sanzioni per chi sporca vie, piazze, aree verdi, parchi, panchine e per contrastare le scritte sulle mura degli edifici delle città. Per le aree verdi non c’è da preoccuparsi, trovarne a Pisa è diventato impossibile, figuriamoci sporcarle. L’estate 2008 prosegue il trend negativo della assoluta mancanza di eventi e del forzato inutilizzo di aree destinate alla socialità, come il Giardino Scotto; e come se non bastasse, viene punita severamente, con tanto di gogna pubblica sui giornali, l’attività di chi, in questo deserto, è riuscito a rendere vivibile un pezzo di città sui margini dell’Arno, liberandola da erbacce e topi.

Terzo incomodo in questo vero e proprio delirio securitario: la stampa cittadina, e soprattutto «Il tirreno», più portato, nella contingenza, ad omaggiare il regnante di turno rispetto all’omologo quotidiano cittadino più vicino alla destra. «Il tirreno» che ormai da anni ci aveva assuefatto alla consueta piaggeria verso il Palazzo e al solito perbenismo cripto-razzista dei suoi giornalisti (e delle sue giornaliste…) di punta, al pressappochismo elevato a metodo d’indagine, ha raggiunto durante l’estate livelli veramente insopportabili. L’assenso alle politiche filippeschiane si trasforma nelle pagine del quotidiano in criminalizzazione dei migranti e degli studenti, in descrizioni apocalittiche di una città che vive nel terrore, in mano a orde di ubriachi e agitatori del sonno altrui: in un protagonismo esasperato di alcune “firme note”, assurte a voce del popolo pisano stanco e stufo di una “movida” inaccettabile. E, andrebbe ricordato, le statistiche dicono che Pisa è una delle città più “sicure” della Toscana e d’Italia.

La realtà è ben diversa. È troppo evidente la sottile manovra su scala cittadina e nazionale, attraverso la concertazione dei poteri forti (prefetture, comuni, organi di informazione), tendente in realtà a smantellare lo stato sociale (si vedano, a puro titolo di esempio – l’elenco sarebbe troppo lungo – le profonde ferite inferte al sistema dell’istruzione e della scuola: argomento a cui dedicheremo uno specifico approfondimento) mentre, di converso, si spingono i soggetti più deboli in reti di esclusione e repressione sempre più ampie. A Pisa, città di medie dimensioni, questi fenomeni sono sicuramente più visibili rispetto alla dispersione sul territorio urbano e suburbano delle metropoli.

Una cappa di piombo incombe in città: i fili pazientemente tessuti in anni di lavoro dalle reti sociali e solidali, che hanno saputo connettere sapientemente culture e persone, rischiano di spezzarsi in poco tempo.

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