Usa: salvagente pubblico a fronte della crisi

Era dalla grande crisi del ’29 che lo stato non interveniva così massicciamente per evitare il tracollo del sistema finanziario privato. Nella patria del liberismo sfrenato, lo stato nazionalizza Fannie Mae e Freddie Mac, due società finanziarie che hanno in mano 5.200 miliardi di mutui che scottano.
 
Dopo un’odissea lunga un anno, è alla fine arrivata la scialuppa di salvataggio del Tesoro Usa per Freddie Mac, Fannie Mae e tutto il mercato finanziario internazionale. Finiti i pettegolezzi, le indiscrezioni e le ambiguità, le due Gse – government sponsored enterprises – sono diventate a tutti gli effetti agenzie governative. Sulle spalle degli Stati uniti potrebbe ora pesare un debito di circa 5 mila miliardi di dollari. Il «bailout», o salvataggio, delle due agenzie, ha assunto la forma che si riteneva più probabile, quella dell’acquisto, da parte del Tesoro, di azioni privilegiate. Nuove azioni saranno emesse, e acquistate, ogni qualvolta le agenzie si troveranno nella situazione di coprire buchi nei bilanci. I chief executive officers di Fannie e Freddie sono stati licenziati in tronco, e sostituiti da dirigenti di nomina governativa.
 
Gli attuali azionisti delle società non riceveranno più dividendo, e non avranno più voce in capitolo sulla gestione.
Il governo non ha fornito cifre su quanto verrà a costare il salvataggio, ma a dimostrazione del «forte impegno» per la salvaguardia dei creditori delle Gse, potranno essere utilizzati fino a 200 miliardi di dollari. Per farsi un’idea, è la metà del deficit pubblico americano del 2007. Il piano prevede anche l’acquisto di una quantità non specificata di mortgage backed securities ( Mbs ) e altri titoli derivati garantiti da mutui emessi da Fannie e Freddie. Questi titoli, la cui compravendita è oggi praticamente inesistente a causa dell’alto rischio, potranno essere detenuti dal Tesoro fino a scadenza. Il Tesoro ha reso noto che questa operazione non comporta rischi notevoli per il contribuente, e che anzi «potrebbe rappresentare un guadagno», almeno nel lungo termine. Quella delle Gse potrebbe essere chiamata una «multipla doppiezza».
 
Due agenzie identiche, doppio assetto proprietario – formalmente private ma con implicita garanzia pubblica – e infine duplice ruolo nel mercato finanziario: fornitori di liquidità per il mercato immobiliare interno e strumento di accumulo delle riserve internazionali per banche centrali e altre istituzioni finanziarie estere.
Come si legge nelle prime righe della nota del governo che annuncia la nazionalizzazione, il debito di Fannie e Freddie, ovvero normali bonds e le malefiche mortgage backed securities è «detenuto da banche centrali e investitori da tutto il mondo». Questi investitori di rilievo avrebbero quindi comprato tali titoli «in parte a causa delle ambiguità che hanno creato la percezione di un sostegno del governo». Sono state proprio queste ambiguità a stimolare la crescita abnorme del debito delle due agenzie, che ora pone un rischio «sistemico» per tutto il mondo finanziario. Il governo quindi, responsabile principale di questa ambiguità, entra ora in gioco riprendendo in mano le redini delle agenzie, colpevolmente privatizzate nel 1968 per fare cassa.
 
Oltre alle presumibili pressioni ricevute da parte delle banche centrali estere per garantire il valore delle loro riserve denominate in dollari, il Tesoro ha avuto anche un’altra motivazione, più strettamente interna, per procedere al megasalvataggio. Da alcuni mesi rischiava infatti di venir meno il ruolo fondamentale di Fannie e Freddie nel mercato immobiliare statunitense.
L’attività delle due agenzie è quella di comprare i mutui già erogati dalle banche, fornendo quindi alle stesse la liquidità per poter concedere ulteriori mutui. Tutto questo era possibile grazie alle cartolarizzazioni e ai bassi interessi a cui le agenzie potevano indebitarsi, essendo implicitamente garantite dal governo. Una volta che il mercato dei titoli cartolarizzati si è bloccato, in seguito allo scoppio della crisi dei mutui subprime , anche la seconda fonte di accesso al credito si andava prosciugando, e con essa la capacità delle banche di fornire nuovi mutui.
 
Ai sottoscrittori delle nuove obbligazioni infatti, non bastava più la garanzia «implicita» del governo, e in cambio di fondi questi chiedevano tassi di rendimento sempre più alti. Tassi che fino a qualche mese prima erano i più bassi possibili, paragonabili a quelli sul debito pubblico Usa, virtualmente considerato privo di rischio. Le «triple A» delle agenzie di rating valevano ormai meno di zero, agli occhi degli investitori di un mercato finanziario in cui la fiducia reciproca è la prima cosa che manca – oltre ai capitali.
Esplicitare ufficialmente la garanzia governativa è quindi servito proprio a rendere le agenzie nuovamente in grado di svolgere la loro funzione. Seguiranno nuove ondate di cartolarizzazioni ed emissioni di Mbs, questa volta «sicuri», come se nulla fosse. Tutto per cercare di stimolare l’economia Usa nel suo punto più dolente. Non è infatti un mistero che l’intenzione del governo, che sembra aver ormai rinnegato la sua vocazione «liberista», è quella di bloccare la crisi partendo proprio dal settore in cui è nata: l’immobiliare.
 
I prezzi delle case sono crollati di oltre il 15% nel corso di un anno e quasi il 10% del totale dei mutuatari ha almeno un mese di ritardo nel pagamento delle rate. Una parte di questi è in attesa del pignoramento. Le banche non concedono nuovi mutui sia perché non si fidano, sia per la materiale mancanza di fondi. L’attività di Fannie Mae e Freddie Mac, purché a pieno regime, potrebbe rivitalizzare il mercato e far tornare a salire i prezzi, interrompendo quindi l’emorrargia di insolvenze dei mutuatari e di perdite continue nei bilanci delle banche. Questo ovviamente, nei sogni di Washington.
 
Carlo Leone Del Bello – http://capitale.splinder.com/
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