Come abbattere la cultura. I casi pisani dei teatri Verdi, Politeama e piccoli teatri.

E’ difficile fare cultura in tempi di crisi economica. Questa sembra la risposta scontata, che sentiamo da più parti negli ultimi tempi. E’ evidente che questo ci esime da ulteriori analisi e da una più ampia contestualizzazione dello stato della cultura e di come essa viene affrontata.
Ci sembra utile perciò soffermarci su alcuni esempi locali dello scempio che si sta perpetrando.
 
Nella conferenza stampa del 24 aprile, il presidente della Fondazione Teatro Verdi di Pisa, Sergio Cortopassi, ha illustrato il bilancio 2008, attualmente in attesa di approvazione. La perdita registrata è stata di 427 mila euro. Tuttavia Cortopassi ha evidenziato come la cifra rappresenti comunque un avanzamento rispetto ai 714mila euro di buco registrati nel bilancio 2007. [cfr. Il Tirrenno e La Nazione, 25.04.09] La famigerata crisi è infatti arrivata da tempo al teatro Verdi ed è necessario comprenderne la portata.
 
Acuita notevolmente dai tagli, ma di fatto ereditata da un passato di sprechi e malgestioni, la crisi vede tra le cause anche l’abbandono da parte di alcuni soci e la crescita degli interessi passivi.
A Novembre 2008, la Fondazione non poteva procedere all’approvazione del bilancio dell’esercizio 2007. A causa del disavanzo l’attività sarebbe cessata, perché superiore al fondo di dotazione del teatro. Da due anni il teatro Verdi si trovava in una condizione di spesa fuori controllo e il 2007 è solo il punto di rottura, col disavanzo di 714 mila euro sopracitato. (Il Tirreno, “Il teatro Verdi stringe la cighia”, 14.12.08)
 
Il neo presidente del consiglio d’amministrazione del Teatro Verdi, Sergio Cortopassi, si è trovato a dover chiedere un prestito al Comune di Pisa, il quale ha poi approvato un atto di indirizzo per la Fondazione e lo stanziamento di un contributo straordinario di 600 mila euro per poter proseguire l’attività.
Il Comune ha dunque imposto alcune “regole da rispettare” al teatro. Per quanto riguarda i costi, un taglio della spesa di gestione pari al 7-8%, la scelta di non concedere più il teatro gratuitamente o a condizioni di favore, la chiusura settimanale e la necessità in futuro di avere un direttore generale più esperto in management piuttosto che di teatro. (Il Tirreno, “Un manager per sanare i conti del Verdi”, 28.11.08) Anche queste scelte si commentano da sole.
 
Nel mirino sono finite ovviamente anche le spese per il personale, che conta meno di quaranta dipendenti a tempo indeterminato (dirigenti e amministrativi), ai quali si affianca il notevole gruppo di personale “di palco” (macchinisti, elettricisti..) e “di sala” (maschere, biglietteria) completamente in balia di contratti stagionali (tecnici di palco) o a tempo determinato (di sei mesi il personale di sala, di tre anni il personale della biglietteria). Ci vuole impegno per riuscire a spendere ancora meno soldi in personale.
 
Il Teatro si è così ritrovato senza soldi da investire ma con l’impegno a dover riportare i conti a posto. Cosa fare quando si devono ridurre i costi di gestione e organizzazione? Si esternalizza! E cosi, in un certo senso, ha fatto la Fondazione del Verdi.
E’ stato attivato un rapporto di collaborazione con un soggetto privato esterno, Nonsoloteatro Group, per una serie di spettacoli gestiti da loro a livello imprenditoriale. In pratica tutto il cartellone della prosa è stato affidato a questo gruppo, che punta esclusivamente al profitto e dunque a proporre spettacoli il più commerciali possibile, ad esempio High School Musical, o concerti del calibro di Patty Pravo, che con l’elevato volume mettono pure a rischio la struttura del teatro, peraltro da restaurare, e già segnata da alcune piccole crepe sul soffitto, dove al momento sono stati posti dei teloni di sicurezza.
 
Per quanto riguarda la lirica si è ovviato al problema riducendone drasticamente il cartellone (solo 3 spettacoli nella stagione 2008/2009) e decidendo di non avere una produzione propria. Questo si è tradotto in disoccupazione per i lavoratori di Cittàlirica e per molti altri, a favore di investimenti in nomi di richiamo (vedi Riccardo Muti), con conseguente lievitazione dei prezzi dei biglietti per presenziare a tale evento (25 euro il posto meno caro in 2a galleria, che solitamente arriva a costare 11-14 euro, fino alle 90 euro della platea, con tutte le consuete promozioni annullate).
 
L’altro magico coniglio che si vorrebbe tirar fuori dal cappello è la creazione di una fondazione unica per le manifestazioni storiche, andando a fondere l’attuale Fondazione Gioco del ponte, che ad aprile esaurisce i suoi tre anni sperimentali di mandato, con l’amministrazione del Teatro Verdi.
Nel bilancio comunale 2009 si legge che a Palazzo Gambacorti non dispiacerebbe l’idea di “stabilire un nuovo rapporto tra Fondazione teatro Verdi con le manifestazioni storiche e la rete dei musei”.
Anche Cortopassi afferma che “la prospettiva è quella di creare una Fondazione che gestisca tutte le attività artistiche e culturali della città”.
Questa è ancora solo un’ipotesi, ma riteniamo utile iniziare a prenderla in considerazione per comprenderne le conseguenze.
 
Al personale del Verdi (non è chiaro quale personale, ma presumibilmente la dirigenza e l’amministrazione, non certo la “manovalanza stagionale”) si potrà attingere per “rendere effettiva l’apertura del complesso di San Michele degli Scalzi, contribuire alla realizzazione del Gioco del Ponte e per il sistema museale”.
La nuova fondazione avrebbe il compito di organizzare i principali eventi (Capodanno pisano, regata delle repubbliche marinare, luminara, palio di San Ranieri e Gioco del ponte) e di rilanciarne altri legati sempre alla storia pisana. Questo con una totale autonomia dal Comune sia dal punto di vista economico che di personale. (Il Tirreno, “E’ pronto il progetto per la nuova Fondazione”, 08.01.09)
 
La prospettiva, insomma, è quella di creare una fondazione che gestisca tutte le attività artistiche e culturali della città, con diversi soci pubblici e privati che ne muoveranno le fila.
L’obiettivo primo sarà quello di “reperire nuovi finanziamenti esterni”, e, seppur vedrà nel Comune il partner di riferimento, ci sarà “massima apertura sia agli altri Comuni che ad altre Fondazioni, ad esempio quelle bancarie”.
 
Quali sono le implicazioni di manifestazioni storiche organizzate con i soldi delle banche e dei privati? Al prossimo gioco del ponte, sulle casacche storiche spunterà il "prestito veloce della banca x" o "il mutuo vantaggioso della banca y"?
Questo porta nella stessa direzione di appiattimento su un piano puramente consumistico: a teatro con l’esempio della Nonsoloteatro group, si fa crollare (letteralmente e culturalmente) il teatro, e in città si riduce il patrimonio culturale e artistico a merce da far rendere il più possibile.
 
Anche per il Teatro Politeama di Cascina la situazione è critica, seppure con motivazioni sostanzialmente diverse.
A metà Aprile, sui giornali locali, è emerso che il teatro Politeama è stato escluso silenziosamente dal bilancio previsionale 2009 del Comune di Cascina. Quest’ultimo è uno dei soci della Fondazione Sipario, che gestisce la struttura. I 258 mila euro che l’amministrazione comunale versava annualmente erano fondamentali per le attività del teatro, che se davvero non riceverà i contributi rischierà il futuro.
 
Già a Gennaio aveva fatto rabbrividire la proposta del consigliere comunale e provinciale del Pdl Giacomo Cappelli: un multisala, villette a schiera e case popolari al posto del teatro Politeama e una ristrutturazione del piccolo teatro nel centro città. (cfr. Il tirreno, 17.01.09 “Un multisala e villette al posto del politeama”) Ma accantonato un pericolo, eccone subito un altro.
 
E’ utile soffermarsi sul valore della presenza del complesso Politeama sul territorio, per comprenderne così la ferita che la sua assenza comporterebbe. Su uno spazio di 5.000 metri quadri, non si erge un teatro tradizionale, ma uno spazio polifunzionale dedicato alle arti e alla comunicazione e caratterizzato da diversi ambienti destinati a funzioni specifiche e complementari (tre sale deputate allo spettacolo, un centro studi, spazi di documentazione, una libreria multimediale, atelier per attività di formazione, una palestra attrezzata per le attività corporee, laboratori scenotecnici…).
Negli anni di attività la Fondazione ha una consolidata tradizione di spettacoli teatrali e musicali orientati sul versante della ricerca contemporanea, sul teatro ragazzi e sulle problematiche dell’attualità.
 
Togliere fondi a queste attività significa togliere linfa vitale alla comunità, significa eliminare ogni presupposto di apertura mentale verso il mondo. Significa, in tre parole, abbattere la cultura.
I tagli alle attività dei teatri stabili vanno inquadrati in un’ottica più ampia. Chiediamoci allora, perché i fondi pubblici sono stati eletti a fonte primaria per il sostegno dei teatri, ovvero alla vita culturale di un Paese?
Ebbene, in prima istanza, per allargare la crescita culturale, rendendo accessibili i luoghi della cultura alla maggior parte della comunità. In secondo luogo, per difendere dall’inerzia del mercato alcune attività che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili. A queste si aggiunge la necessità che hanno le democrazie di motivare i cittadini ad assumersi la responsabilità della democrazia stessa: il bisogno di avere cittadini informati.
 
Per il 2008/09 i tagli già annunciati ammontano al 17%, arriveranno al 30% nel 2010/2011, passando da 511 milioni a 307 milioni di euro.
A buon intenditor (quali sono i nostri lettori)…poche parole. Il seguito della storia lo vediamo con i nostri occhi.
 
L’ultimo allarme, ma non certo per ordine di importanza, è quello che ricade sui piccoli teatri(cfr. Il Tirreno, 05.12.08). Nella zona pisana questi sono ben presenti e molto attivi . Il governo, oltre ai tagli drastici sul fondo per lo spettacolo, ha messo in dubbio il suo impegno a finanziare la terza annualità del Patto con le Regioni, sottraendo nel 2009 a questo capitolo ben un milione di euro.
 
E proprio la Regione Toscana, grazie alle risorse del Patto Stato-Regioni per lo spettacolo, dopo aver classificato la nostra come area di eccellenza, ha investito nella valorizzazione di alcune esperienze, d’intesa con la Provincia. Citiamo gli esempi, a Pisa, della “Compagnia del teatro Lux” (teatro Lux) e i “Sacchi di Sabbia” (S.Andrea); a Buti la compagnia del “Di Bartolo” presso il teatro comunale; a Santa Croce “GialloMare” con sede al Verdi; e infine, al comunale di San Miniato, il “Teatrino dei Fondi”.
Il silenzio delle istituzioni su tali questioni rischia di generare un clima di disaffezione generale, tanto più grave nel caso in cui i cittadini costituiscono la comunità del pubblico teatrale.
 
Perché non confrontarsi con il proprio pubblico sulla gravità della situazione? Perché non sensibilizzare la riflessione collettiva sul tema dei tagli al settore dello spettacolo, legandola al tema dei tagli alla ricerca, al settore sociale? Come se il teatro non entrasse a pieno titolo nel processo formativo di un cittadino, della sua libertà civile, del suo spirito critico.

 

La Redazione
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