LA CRISI E’ DI CASA: occupato questa mattina l’ex-cinema Ariston

E’ negli enormi locali dell’ex-Cinema Ariston, occupato questa mattina, che si svolgerà la due giorni "La crisi è di casa", a cura dell’area antagonista pisana. L’immenso stabile sfitto, noto esempio della speculazione edilizia in città, torna a vivere, dopo l’occupazione dello scorso 12 dicembre, grazie all’iniziativa del collettivo Precari Autorganizzati, del Newroz, del Collettivo Universitario Autonomo e del Progetto Prendocasa. 

Di seguito, il comunicato diffuso dagli occupanti, il programma delle due giornate e il documento politico redatto per l’occasione.

 

J. Bonnot

 

La crisi è di casa

Nonostante i principali mezzi di
comunicazione abbiano da qualche tempo iniziato a sostenere che la famosa crisi
di cui tanto si è parlato è ormai giunta al termine, è fin troppo palese che
essa, al contrario, continua a gravare con tutto il suo peso soprattutto su
coloro che la crisi la vivono da sempre. È per parlare di crisi, per
combatterla, che abbiamo occupato lo stabile Ex-Ariston.

La scelta dello spazio non è
casuale: si tratta di un enorme edificio, sfitto da quando il gruppo
imprenditoriale che ne era proprietario, perfetto esempio di quel capitalismo
di rapina che della crisi attuale è il padre, è fallito.

Mentre l’enorme struttura rimane
vuota, in attesa di poter essere destinata alla costruzione di appartamenti di
lusso, gli affitti, in una città costantemente in preda all’emergenza
abitativa, aumentano, costituendo il principale capitolo di spesa per la
maggior parte delle famiglie. Per questo abbiamo deciso di chiamare questa due
giorni “La crisi è di casa”. Il
problema dell’abitare costituirà la lente attraverso la quale, all’interno di
due iniziative, saranno analizzati i diversi aspetti della crisi e le possibili
forme per affrontarla, nella convinzione che gli unici strumenti utili per
opporsi alla costante sottrazione di diritti siano quelli dalla
riappropriazione. I tagli al sociale, la fine del progetto Città Sottili, le
ordinanze antiborsoni e anti-rom, sono segnali fin troppo chiari
dell’incapacità dell’amministrazione di garantire i diritti di base, e delle
volontà di affrontare urgenti problemi sociali come semplici problemi di ordine
pubblico. La contestazione del senatore Gasparri tuttavia, ha mostrato
chiaramente che esiste un vasto numero di persone, all’interno del quale
svolgono un ruolo fondamentale i migranti, pronte a lottare in prima persona
per la difesa dei propri diritti.

Riappropriandoci dell’ex-cinema
Ariston intendiamo mostrare che esiste un solo modo per tutelare questi
diritti: prenderseli.

Di seguito, il programma delle
iniziative:

 

Venerdì 4 dicembre:

ore 16:30:
sportello per il diritto alla casa-infoshop-sportello legale-volante
antisfratto

ore 18:30:
UNA CRISI, TANTE CRISI Tavola rotonda sulla crisi a Pisa: la situazione in
città, nell’università, nel mondo del sociale, con un occhio particolare sul
problema della casa.

Ore 20:00:
Proiezione del video “Tutti a casa: la situazione abitativa pisana tra sfratti,
speculazioni ed occupazioni”

Ore 22:00:
drum’n’bass night con Leleprox e Mogano

 

Sabato 5 dicembre:

Ore 16:00:
Animazione per bambini a cura di Arciragazzi

Ore 18:30:
LA LOTTA PER LA CASA IN ITALIA: narrazione e confronto tra alcune realtà che
portano avanti la lotta per la casa in Italia.

Ore 20:00:
Proiezione del video “La vivienda: 18 anni di occupazione di case a Firenze”

Ore 22:00:
Raggae night con Ghetto Army Doomieafrica e Bassklaat

 

Contro la pacificazione sociale, rompere il
silenzio

contributo politico per la 2 giorni, dei compagni e
delle compagne dell’area antagonista pisana

 

4-5
dicembre: due giorni di occupazione contro l’espropriazione sociale e le
logiche securitarie

 

Questa
due giorni di occupazione e di iniziative è per noi il momento in cui
confrontarci rispetto ai nodi che reputiamo fondamentali per il percorso di
movimento nella nostra città: le soggettività del conflitto sociale, la crisi,
e la sua gestione politico-istituzionale.

 

 

Programma minimo per la
neutralizzazione del movimento…

 

Un
anno fa il movimento dell’Onda proprio in questa città ha mostrato la sua
potenzialità conflittuale: migliaia e migliaia di precari e studenti sono scesi
in piazza, hanno occupato facoltà, bloccato strade e binari, uscendo dalla
passività della delega, travolgendo i paletti della rappresentanza, forzando i
confini dentro cui la “Pisa metropoli di seconda generazione” li assegnava. Il
valore della frase “noi la crisi non la paghiamo” stava non tanto nello slogan,
ma come necessaria indicazione programmatica di generalizzazione del conflitto.
A Pisa i tentativi di questa generalizzazione hanno coinvolto i migranti
impegnati negli stessi mesi a combattere ordinanze comunali che sotto la spinta
securitaria articolavano violenti meccanismi di esclusione sociale e di
privazione di bisogni fondamentali. Da questi intrecci in molte occasioni si
sono affacciati nuovi legami sociali, si è prodotto altro sapere, si sono
aperti varchi alle barriere della segregazione e dello sfruttamento, talvolta
dando profondità e radicalità a battaglie apparentemente “vertenziali”. Da
inizio ottobre a metà dicembre le fasce di popolazione su cui le istituzioni
volevano scaricare i costi della crisi finanziaria hanno dato vita ad
iniziative ed assemblee, cortei e presidi, picchetti ed occupazioni: questi
sono stati la presa di parola di soggettività escluse dagli ambiti decisionali.
Sono stati anche i mesi in cui il potere politico, dal Governo fino alle istituzioni
accademiche, ha avuto paura che la crisi economica diventasse sempre più crisi
di potere, crisi di consenso e dei suoi meccanismi di comando, di fronte ad un
probabile blocco sociale indisposto ad essere massacrato dalla violenza della
“socializzazione delle perdite e dei debiti finanziari”.

Ad
un anno di distanza possiamo dire che quando il Governo afferma che la crisi è
terminata, affidandosi a dati economici traballanti, in un certo senso ha
ragione: la crisi è temporaneamente passata nella sua pericolosa
rappresentazione di opposizione sociale di massa. Ovviamente non è passata per
ciò che concerne la  materialità dello
sgretolamento dei diritti sociali, per la sua incapacità di assicurare
stabilità economica e sviluppo, e questo perché è una crisi sistemica la cui esplosione
è ritardata da continui provvedimenti che indebitano il pubblico al fine di
preservare l’ordine economico finanziario.

Di
fronte alle previsioni di un caldo autunno 2009, constatiamo invece l’avanzata
reazionaria del Governo Berlusconi ed una spontanea, a volte radicale ma
frammentata, risposta di differenti segmenti sociali di fronte all’incedere
della disoccupazione di massa e di fronte ai continui tagli al sistema
pubblico.

Per
ciò che ci riguarda territorialmente, è utile capire cosa e come i governi
hanno fatto per bloccare l’indicazione programmatica di lotta che per prima
l’Onda aveva lanciato.

A
Pisa, città con una storia “rossa”, il movimento deve scontrarsi con gli
apparati del mondo sindacale, istituzionale e del terzo settore. Questi, di
fronte all’autonomia dei movimenti, non solo hanno funzionato da “pompieri”
delle mobilitazioni, puntando sempre alla mediazione al ribasso degli obiettivi
della piazza, ma si sono resi palesemente interpreti della volontà
pacificatoria del potere: sono diventati elementi di gestione della
conflittualità per conto dell’amministrazione locale e dei poteri forti della
città.

Un
potere locale (pisano e toscano) che agisce sempre in continuità col governo
dal punto di vista dei contenuti politici e delle operazioni di esclusione
sociale, ma che gioca sulla contrapposizione elettorale a Berlusconi per
eliminare dalle lotte le istanze di trasformazione reale. Nella nostra città è utile mettere a fuoco quali siano stati i
principali protagonisti di neutralizzazione di questa diffusione della
conflittualità sociale.

Il
12 dicembre del 2008, giornata di sciopero generale convocata dalla cgil nel pieno dell’Onda, ha
rappresentato il momento in cui l’apparato sindacale ha formalizzato la scelta
di prendere le distanze dalle mobilitazioni autonome. Quella manifestazione era
spezzata in due da alcuni cordoni di polizia che dividevano la testa del corteo
convocata dalla cgil, dalla
restante parte organizzata congiuntamente dai vari movimenti sociali (Onda e
mondo della Formazione non sindacalizzato, Spazi occupati, movimento dei
migranti, sindacati di base…). Il neosegretario della CGIL Gianfranco Francese
fece di tutto nei giorni precedenti per evitare una partecipazione congiunta di
autorganizzati alla propria convocazione contro il Governo Berlusconi. In
quella giornata il movimento si trovò “spiazzato” dalla blindatura del corteo
lanciato a raccolta dei lavoratori Fiom. I tentativi di generalizzazione del
conflitto si scontrarono con la vetrina di opposizione antigovernativa del
mondo sindacale confederale.

La
partecipazione dei massimi esponenti del potere locale a quella manifestazione,
come il sindaco Filippeschi, fresco firmatario dell’ordinanza di sgombero dei
campi, non era solo una provocazione ma un chiaro indirizzo di gestione del
conflitto sociale: cavalcare le proteste, declinarle con la classica formula
del “siamo tutti nella stessa barca”, annullando le differenze e le
responsabilità politiche e strumentalizzare così il dissenso per assorbirlo in
termini di mero consenso elettorale. Fu
in quella piazza che contestammo la presenza del Sindaco, obbligandolo ad
andarsene. Fu in quella giornata che l’Onda “sanzionò” il rettorato. Fu in
quella giornata che venne occupato per la prima volta l’ex cinema Ariston
.

Allo
stesso modo la grande mobilitazione antirazzista del 22 novembre, col
protagonismo straordinario dei migranti, costruita dopo numerosissimi presidi e
picchetti in particolare nella zona del Duomo e che aveva come obiettivo il
ritiro dell’ordinanza antiborsoni, ha visto l’assordante silenzio dell’Arci e
della Cgil, pressate dalle istituzioni del Partito Democratico.

Le
operazioni di disarticolazione del movimento messe in campo dagli snodi del
potere (Cgil, Arci, Consulta degli Stranieri, Sinistra Per…, Società della
Salute) hanno compromesso un esito favorevole delle lotte, in ogni campo: nel
mondo della formazione (si pensi alla stasi della mobilitazione universitaria
attuale e alla rimozione delle lotte dalla memoria collettiva studentesca), nei
percorsi antirazzisti e nelle battaglie sul sociale. Ciò che è riuscito a scampare ai meccanismi di sussunzione politica
delle istituzioni è quello che si è sedimentato all’insegna dell’autonomia.

 

 

Ripartire dagli esclusi

 

La
due giorni di occupazione si inserisce in un periodo di ripresa delle
mobilitazioni sotto il segno della lotta contro il paradigma securitario. Di
fronte all’inadeguatezza del sistema di mediazione sociale e alla necessità di
reddito di un numero crescente di persone, le iniziative istituzionali delle
ultime settimane chiariscono gli obiettivi dei poteri locali: esclusione sociale
a partire dal paradigma securitario, in continuità con le politiche del governo.

Permettere
a Gasparri di parlare di sicurezza e integrazione dei migranti nella Sala delle
Baleari è la migliore rappresentazione di una giunta comunale che dal “patto
per Pisa sicura” alle ordinanze del sindaco sceriffo parla il linguaggio
dell’esclusione sociale e della segregazione nelle gabbie dello sfruttamento
per chi sta pagando già da tempo la crisi.

L’organizzazione
della conferenza sull’abusivismo, con la partecipazione del sottosegretario
agli Interni, Alfredo Mantovano, costruita da Confesercenti e dal Comune, ha
mostrato l’assoluta continuità di vedute fra Governo e istituzioni locali sul
modello di gestione repressivo delle questioni sociali.

L’arrivo
di un milione di euro dalla regione da destinare alle forze di polizia e ai
rimpatri per lo sgombero delle famiglie rumene dal campo, la chiusura del
progetto “Città sottili” e il conseguente sfratto di centinaia di famiglie
dimostrano la funzionalità del terzo settore e degli apparati di mediazione
sociale alla dottrina della sicurezza e alla volontà di segnare le questioni
sociali con l’emarginazione. L’accesso differenziato al reddito cancella quelle
istanze di progresso della società civile così spesso in bocca agli
amministratori locali e ai dirigenti delle cooperative.

Ripartire
dagli esclusi vuol dire valorizzare quelle soggettività che hanno dato vita
alle contestazioni contro queste iniziative: dagli ambulanti che subiscono
l’espropriazione di reddito a causa dell’ordinanza contro gli abusivi, alle
famiglie che difendono il proprio diritto alla casa come nel caso degli
occupanti dell’ostello a Madonna dell’Acqua, agli antifascisti che non
accettano la presenza di Gasparri in Comune.

La
costruzione di percorsi di riappropriazione di bisogni negati non può
prescindere dalla decostruzione delle ambiguità del sistema politico locale e
dal riconoscerne le sue articolazioni “nel sociale”. Mentre la crisi affonda
sulle nostre vite, la riorganizzazione dei poteri segue le direttive di rapina
ed espropriazione della ricchezza sociale complessiva, ricercando a tutti i
costi il mantenimento di una pace sociale al solo scopo di perseverare in questa
direzione.

A
partire da questa analisi è fondamentale interpretare l’appuntamento del 5
dicembre lanciato dalla provincia e dalla Società della Salute, con al seguito
il terzo settore, di presidio di fronte alla prefettura, per chiedere il ritiro
dei tagli al sociale che il Governo sta approvando in finanziaria. Una
richiesta del tutto fuori dalle concrete politiche degli enti locali, visto che
questi approvano tagli ai propri fondi destinati al sociale con l’unico
obiettivo di fare cassa, dirottando gli stessi fondi al controllo sociale
piuttosto che ai servizi.

Sotto
la maschera dell’elemosina istituzionale si nasconde la pilatesca operazione di
neutralizzazione del conflitto sulla tematica del reddito con l’assorbimento
delle tendenze anti-istituzionali e si mostra l’incapacità del pubblico di
pianificare alcun programma strategico sulla gestione della crisi.

Rompere
questo teatrino della politica significa per noi sottolineare con la pratica
della riappropriazione la continuità dei meccanismi di espropriazione, di
precarizzazione, di creazione di marginalità sociale che oggi più che mai sono
propri di tutto il sistema politico istituzionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

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