Pisa, Grand Magal. Un racconto.

Organizzazione perfetta e gran partecipazione. Già prendendo l’autobus n.5 poco prima delle sei, alcuni senegalesi si vedono, si riconoscono e si salutano un po’ timidamente (se si conoscevano già, si conoscevano poco), scendono al Palazzetto dello Sport e s’incamminano insieme.
Una mia amica che era in centro alle 5 ha detto che Pisa sembrava una città africana, da tanti senegalesi sciamavano e al mercato la mattina ce n’erano solo due o tre a vendere. Su via Pisano, senegalesi con la casacca fosforescente a dirigere il traffico, che non era moltissimo, e a indirizzare verso il parcheggio.
Fuori dal Palazzetto, giornata minacciosa e ogni tanto pioggerellina, moltissimi giovani, pochissimi i ‘bianchi’, prevalentemente vigili urbani. Banchetti coperti di plastica e plastica per terra con la merce sparsa, ma ogni cosa sotto plastica.
Niente da mangiare o da bere, quasi tutte cose devozionali, pantofole di cuoio, indumenti che sembravano arrivati diretti da Touba, montagne di cd fatti in casa (probabilmente preghiere), moltissime fotografie di Amadou Bamba, qualche foto seppiata e dall’aria molto coloniale, altre ritoccate a colori. E’ il centodecimo anniversario del ritorno dall’esilio.
Suonano i tamburi e un gruppo di ragazzi ballano in cerchio in fila indiana. I movimenti sono molto africani, spostando il peso di tutto il corpo da una parte e dall’altra; possono andare avanti per ore e infatti lo fanno. Per il momento pochissime donne, salvo le vigilesse.
Le porte del Palazzetto sono aperte, altre persone pigiate sulle soglie. Dentro stanno parlando le autorità, sedute sulle seggiole di fronte all’arena, che è coperta di tappeti e di senegalesi seduti o accovacciati.
Le scarpe, di tutti i tipi, dalle sneackers fosforescenti alle pantofole bianche, tutte intorno. Gli spalti, nel lato da cui sono entrata, sono pieni e mi siedo sulla scala, sotto ad altri. Sul lato opposto più posti liberi, ma mi fermo lì. Sono tutti molto attenti. Fra le autorità, di bianchi, c’è il sindaco, verdolino, in prima fila fra le autorità, un rappresentante della CGIL, della provincia e delle associazioni.
Ci sono molti senegalesi, quasi tutti in abito tradizionale, responsabili delle comunità della provincia, l’ambasciatore del Senegal e in prima fila quattro, vestiti ognuno in modo diverso ma stranissimi, forse autorità religiose (uno con un cappuccio marrone a punta altissima, tipo penitente).
Le autorità, sindaco incluso, fanno discorsi molto amichevoli; qualche intervento riprende la proposta (deve averla fatta Rossi a nome della regione, ma non l’ho sentito) di fare un CIE in Toscana dicendo che è un centro di accoglienza e che sarà diverso. Nessuno batte ciglio. Molto applaudito il rappresentante della CGIL. Tutti (quasi) parlano male della Bossi-Fini e del rischio di espulsioni.
Il senegalese che introduce e traduce dice che nel comprensorio del cuoio stanno licenziando moltissimo, che alcuni senegalesi tornerebbero volentieri a casa, qualcuno è anche anziano, ma che non vogliono né possono tornare a mani vuote. Una richiesta di essere associati ai rom nei ritorni incentivati, forse. Un rappresentante della CGIL è stato molto applaudito quando ha detto che l’accoglienza non è dovuta perché gli immigrati lavorano qui, ma per rispetto della dignità umana.
Nel frattempo giravano con quelle teiere di latta dal becco piccolo a offrire una specie di te molto scuro, forte e zuccherato; in una mano la teiera, in un’altra il sacchetto dei bicchierini di plastica.
Dieci minuti dopo passava e ripassava un ragazzino col sacchettone nero per raccogliere i bicchierini. Meglio che sugli aerei. Arrivavano le famiglie. Moltissimi bambini, neonati, sguscianti fra le gambe, più grandini che rincorrevano i più piccoli e più grandi che rincorrevano i grandini. Sparsi anche negli spalti molti marabutti col rosario.
Molti omaggi e moltissimi saluti fra tutti. Un po’ di donne senegalesi, molto eleganti, in abito tradizionale. Ha parlato anche una rappresentante delle italiane convertite all’islam (ne ho viste quattro o cinque, molto giovani e belle, elegantissime): discorso sulla pace e sull’interiorità, su una lunga ricerca spirituale.
L’ambasciatore del Senegal ha parlato in wolof e in francese, non in italiano. Il “presentatore” traduceva, un po’ liberamente, dal francese. Poi ha attaccato in wolof, e di lì si è passati al wolof senza traduzione (forse raccomandazioni alla comunità e poi cose religiose).
Le autorità sono andate via, sono rimasti, per un po’, un po’ cupi, i giovani associativi, poi sono andati anche loro. Praticamente tutti i bianchi (e i vigili) erano andati via con le autorità e arrivava qualche coppia mista coi bimbi meticci. Si è alzato il muezzin ed è cominciata la parte religiosa, tutti girati verso la Mecca – io credevo fosse la direzione del mare, comunque era la parte degli spalti dove c’era meno gente, forse per non dare di spalle ai luoghi santi.
Della preghiera, nell’arena, era impressionante l’ordine, erano riusciti a mettersi anche in riga e, come si vede nelle preghiere alla Mecca, si chinavano e alzavano come un’onda, salvo uno (ho pensato all’Alzheimer).
Forse, dopo, la preghiera diventa individuale; tutti restavano sui tappeti, ma in ordine più sparso e passavano a distribuire, riprendere, ridare, fogli gialli un po’ come i nostri messali. Dopo nel tappeto più sacro, più vicino alla Mecca, gli Imam si sono seduti in circolo e parlavano a turno. A me sembrava qualche commento ai testi sacri o disputa teologica. Avrei voluto chiedere, ma mi sembrava una domanda empia per i religiosi e querula per i ‘laici’.
Mentre giù pregavano, moltissimi erano rimasti sugli spalti (i più laici?), un grosso gruppo, fuori dal tappeto faceva capannello e ad un certo punto ha cominciato a cantare una specie di canone e quelli fuori continuavano a ballare. Ne dedurrei che ci sono varie forme di espressione religiosa o varie confraternite.
Da questa pluralità, bambini, famiglie, famiglie amiche, amici, amicizie maschili, devozioni maschili, solidarietà, attesa veniva un senso struggente di umanità. Alle otto e mezzo cominciavo a infreddolirmi e ad avere fame, non c’era ombra di cibo, difficile trovarne fuori dal Palazzetto.
Chiedere se si mangiava a qualcuno intorno mentre discutevano di teologia mi sembrava maleducato e così sono tornata a casa. Di nuovo fuori ballavano, qualche senegalese intorno a una macchina scassatissima e dal cofano aperto, qualche ritardatario solo arrivava con occhio fiducioso, qualche coppia bianca dall’aria alternativa arrivava.
S.P. per Aut-Aut
Nella foto: la moschea di Touba. 

http://www.magal-touba.org/

E qualche notizia da Touba…la città religiosa dove convergono milioni di persone per il Magal e ogni anno muoiono persone in incidenti stradali, a causa dei mezzi in pessime condizioni e dell’affollamento incredibile delle strade.

MAGAL TOUBA 2010 – Deux forces de l’ordre tués

Le ’’Ndiaga Ndiaye’’ des pélerins heurte un bus : 13 morts et 31 blessés

Per avere qualche informazione dal Senegal:

http://www.seneweb.com/

agence de presse senegalaise

Quotidien Le Soleil

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