Per descrivere ciò che è successo ieri le parole non bastano. Per capirne la gravità, la vile e beffarda natura, occorre essere stati a Genova durante il G8. Non occorre necessariamente esser stati arrestati, essere passati dal lager di Bolzaneto, o esser stati presenti alla Diaz durante la ormai celebre, feroce irruzione. È sufficiente esser stati lì, aver visto con i propri occhi quello che è successo, aver respirato il clima che in quei giorni, a Genova, si respirava. A chi si è ritrovato a dover evitare lacrimogni sparati dall’alto nel mezzo di una folla con le mani alzate, a doversi nascondere, a dover scappare per non essere massacrato e tutto ciò non una volta, o due, ma costantemente, per tutto il periodo di permanenza a Genova, le parole di chi oggi ribadisce il fatto che a Genova non c’è stata alcuna regia, alcun complotto, ma solo limitate responsabilità personali, appaiono come un’eco priva di senso. Eppure ciò che ieri il Tribunale di Genova ha sancito è proprio questo: nessuna responsabilità dei vertici, solo alcune, per altro lievi, responsabilità personali. Ma facciamo un passo indietro, perché la sentenza di ieri non riguardava uno dei migliaia di casi in cui a Genova le forze dell’ordine hanno massacrato persone innocenti. La sentenza di ieri riguardava l’assalto alla scuola Diaz. È inutile ripetere ancora una volta di cosa si tratti. Esistono foto, filmati, testimonianze. L’ultimo importante, contributo alla ricostruzione dei fatti di quella notte è stato dato da Mark Covell. Mark, un giornalista inglese, quella notte era lì, e se lo ricorderà probabilmente per il resto della sua vita. Un’emorragia interna, un polmone perforato, il polso spezzato, otto fratture alle costole, dieci denti in meno non sono cose che si scordano facilmente. Tornato in Inghilterra, dopo un lungo ricovero negli ospedali italiani, si è dedicato ad una minuziosa analisi del materiale audio-video relativo a quella notte, fino ad individuare la sequenza fotografica in cui si vede un funzionario della Digos che introduce nella scuola quelle bombe molotov che poi, a posteriori, sono servite a giustificare il feroce assalto. Tutto questo non è servito assolutamente a nulla. Non sono servite foto, testimonianze, registrazioni che mostrano al di là di ogni ragionevole dubbio cosa è successo quella notte. Il tribunale di Genova, lo ripetiamo, ha assolto tutti i vertici, condannando 13 persone, tutte apparteneti al Settimo nucleo mobile di Roma. I picchiatori, per intendersi. A queste 13 persone, colpevoli di aver mandato all’ospedale 82 persone, delle quali 63 sono state ricoverate, delle quali 20 con fratture gravi, e delle quali 3 in prognosi riservata, sono state comminate pene per un totale di 35 anni e 7 mesi, dei quali 32 e 6 mesi condonati. Ricordiamo, per inciso, che 24 No-Global processati il 14 dicembre 2007, sono stati condannati a 102 anni di reclusione, con pene individuali che arrivano a 11 anni. Ma questo, paradossalmente, è il minimo, perché quantomeno la squadra di picchiatori scelti che si è distinta rispetto ai propri colleghi per un massacro degno delle peggiori dittature sudamericane (probabilmente avvantaggiati dal fatto che la maggior parte delle persone colpite si trovava nei propri sacchi a pelo mezza addormentata) è stata condannata. A pene ridicole, che oltretutto non sconteranno, ma condannata. La cosa che lascia senza parole è la completa assoluzione dei vertici. Lascia senza parole, non sospresi. Il trucchetto di scaricare sugli ultimi le responsabilità, per salvare i primi è vecchio come il mondo, ma in questo caso si è fatto qualcosa di più. Non c’è stata un’operazione di occultamento, di depistaggio delle indagini, insomma una di quelle operazioni rispetto alle quali la giustizia italiana ci ha insegnato a non stupirci quando si tratta di processi che coinvolgono in qualche modo settori dello stato. C’è stata in questo caso una palese, arrogante volontà di ribadire lo status extralegale di alcuni settori dello stato. La volontà di riaffermare la liceità di ciò che è successo a Genova. Questa sentenza non ci dice “i fatti non sono andati come pensate voi, sono andati diversamente”, ci dice qualcosa come “i fatti sono andati proprio come pensate voi. Lo sappiamo noi e lo sapete voi, ma ce ne freghiamo”. Chiudiamo questo articolo con qualche, inquietante, dato: Giovanni Luperi, nel 2001 vice direttore dell’Ucigos, oggi è capo del Dipartimento di analisi dell’Aisi (ex Sisde). Francesco Gratteri, all’epoca dei fatti direttore dello Sco, è attualmente capo dell’Anticrimine, e Gilberto Calderozzi, oggi è capo dello Sco. Sono queste le tre persone che hanno firmato l’atto di perquisizione della Diaz. A voi le conclusioni.
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