Mentre non si ferma lo sciopero dei detenuti in Grecia, dove circa 5mila reclusi fanno lo sciopero della fame da più di due settimane, l’onda della rabbia carceraria sta per arrivare anche in Italia. Il 1 dicembre prossimo saranno almeno ottocento i detenuti italiani che cominceranno a loro volta a non mangiare.
I motivi della protesta sono simili: in Grecia i detenuti chiedono migliori condizioni di prigionia e una revisione del codice penale ellenico, in Italia lo scopo della protesta è la campagna ‘Mai dire mai’, per l’abolizione dell’ergastolo. Le mobilitazione in Grecia coinvolge 21 prigioni, anche dei bracci femminili e delle carceri minorili. Lo sciopero è iniziato con la consegna da parte dei detenuti di una lettera alle autorità nella quale descrivono la situazione ‘medievale’ dei penitenziari. Il problema di fondo è il sovraffollamento: in Grecia sono detenute tra le 12mila e le 14mila persone, in strutture che possono ospitarne massimo 7.500. Inoltre, all’interno dei penitenziari, il personale medico è quasi inesistente. Secondo i dimostranti questo spiegherebbe la morte, solo nel 2007, di 57 detenuti.
In Italia la situazione non è differente. PeaceReporter ha intervistato Christian De Vito, dell’associazione Liberarsi, che affianca i detenuti nell’iniziativa. ”Non vogliamo sostituirci ai detenuti, che sono i veri protagonisti dello sciopero”, specifica De Vito, ”ma ci battiamo per dare loro l’occasione di far uscire la loro voce dal carcere. L’iniziativa arriva esattamente un anno dopo quella del 1 dicembre 2007, quando centinaia di ergastolani in tutta Italia hanno iniziato uno sciopero della fame, ma a parte qualche articolo non ne ha parlato nessuno, anche se è andato avanti per quattro mesi e alcuni di loro sono finiti in ospedale. Noi ci offriamo solo come ponte tra il carcere e l’esterno e tra i detenuti di tutte le carceri italiane, che però si sono mossi da soli”.
Uno sciopero della fame che, oggi come un anno fa, non coinvolge solo i circa 1300 detenuti italiani condannati all’ergastolo. ”In primo luogo sono tanti anche i detenuti non ergastolani che si sono uniti alla protesta, ma ci sono anche le famiglie che da fuori sostengono questa battaglia", racconta l’esponente di Liberarsi. ”In particolare si tratta di comitati femminili, perché sono solo 25 le donne condannate alla pena a vita in Italia e quindi, con tutte le difficoltà del caso, sono in primis mogli e madri che si battono per l’abolizione dell’ergastolo”.
E’ utile chiarire alcune questioni tecniche. Ci sono due tipologie di ergastolani: quelli degli istitui penitenziari penali tradizionali e quelli di massima sicurezza. I 1300 detenuti a vita in Italia sono ripartiti, più o meno, a metà tra le due categorie. All’interno della massima sicurezza, poi, ci sono tre modalità differenti, in ordine di rigidezza: l’Eiv (elevato indice di sorveglinaza), l’ A (alta sorveglianza) e quelli sottoposti al 41 bis da intendersi, dopo la riforma, nella sua modalità estesa, che riguarda tutti i reati associativi.
La situazione, in particolare per l’ultima categoria, è durissima. Per loro non è previsto alcun caso di pena alternativa e si tratta quindi di un ergastolo effettivo. Per i sottoposti al regime del 41 bis il fine pena è mai. Tranne se si pentono e collaborano, ma questa è una forzatura costituzionale, che lascia anche dubbi sulle reali motivazioni del collaboratore di giustizia.
In Grecia la protesta ha raggiunto livelli molto gravi. Un detenuto è stato trovato morto in cella, ma le autorità elleniche nel rapporto ufficiale parlano di overdose di stupefacenti. Un altro detenuto, Christo Tsibanis, 30 anni, ha tentato di impiccarsi in cella. Molti altri sono arrivati a cucirsi le labbra in segno di protesta. Il 1 dicembre comincerà la protesta in Italia. Probabilmente è arrivato il momento di riconsiderare il sistema carcerario in Europa, anche per la solidarietà che le proteste dei detenuti, in Italia e all’estero, raccolgono nella società civile.
”Uno degli obiettivi è proprio quello di portare fuori dai confini nazionali la protesta”, racconta De Vito. ”Siamo andati recentemente a Bruxelles, per consegnare al Parlamento europeo 739 ricorsi di ergastolani italiani. Puntiamo ad attivare in merito la corte di Strasburgo per i diritti umani e il 1 dicembre alcuni europarlamentari visiteranno le carceri della protesta. Il Parlamento europeo non ha competenze per la legislazione penale dei singoli Stati membri, ma ha competenza per il rispetto dei diritti umani, attraverso l’apposita Commissione. Puntiamo ad attaccare in sede europea l’istituto dell’ergastolo dal punto di vista del trattamento inumano”.
Ma il problema delle carceri non è solo quello dell’ergastolo e questo crea un altro collegamento con la situazione in Grecia. Le condizioni detentive, per tutti, sono al limite. Gli effetti dell’indulto dell’ex ministro della Giustizia Mastella si sono già esauriti”, dichiara l’esponente di Liberarsi, ”dal punto del sovraffollamento siamo ai livelli di prima. Inoltre resta inapplicata la riforma Bindi, che prevedeva l’inquadramento dei servizi sanitari carcerari all’interno del sistema sanitario nazionale. Resta ancora tutto da fare. Come per il dibattito sull’ergastolo, dove nella precedente legislatura qualcosa si stava muovendo, ma adesso la questione è finita nel dimenticatoio. In Parlamento c’era il disegno di legge della deputata Boccia di Rifondazione Comunista che non è stata rieletta e in Commissione per la riforma del codice penale si era arrivati a dare per acclarata l’abolizione dell’ergastolo, sostituito dalla pena massima di trent’anni. Adesso la Commissione non c’è più”. E la rabbia, dietro le sbarre, cresce.
Fonti: PeaceReporter(articolo di Christian Elia del 19.11.08)
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