Emergenza Carceri: un altro decesso alle Sughere di Livorno

LIVORNO, 9 NOV – Un detenuto di 31 anni si e’ suicidato oggi
all’interno della sua cella nel carcere delle Sughere a Livorno.

Secondo quanto appreso, l’uomo, di origini napoletane, si e’ tolto la vita
indossando una busta di plastica, con la quale si e’ coperto la testa, e poi
utilizzando il gas di un piccolo fornello da cucina. L’uomo sarebbe morto per
asfissia. I motivi del suo gesto non sono noti anche perche’ il detenuto, che
era solo in cella, non ha lasciato alcun biglietto.


Senza Soste -Le Sughere: campo di prigionia e di
morte

Per la seconda volta in una
settimana il campo di prigionia delle Sughere di Livorno si rende protagonista
di un record di morte imbattuto. Due prigionieri, il primo di 22 ed il secondo
di 29 anni, entrambi di nazionalità straniera, abbandonati al suicidio da
un’amministrazione penitenziaria che li ha lasciati soli davanti alla morte.

La direttrice generale del
carcere, Anna Carmineo, da tempo inspiegabilmente indenne dal trasferimento ad
altre "macellerie penitenziarie" (o meglio ancora dall’allonamento da
una città democratica che non accetta di albergare tra le proprie mura simili
responsabili istituzionali), sembra essere condannata a battere il record
nazionale di suicidi. Mai come negli ultimi anni della sua direzione il carcere
di Livorno ha presentato tali liste di morti suicidi o di incidenti sospetti.

In qualsisi stato
democratico, una direzione penitenziaria responsabile di tali statistiche di
morte, sarebbe stata messa sotto accusa non soltanto dalla magistratura ma
anche dai cittadini e dalle istituzioni locali. Così non è stato neppure questa
volta.

Per l’assessore alle
Politiche Sociali, Alfio Baldi, le tragedie non sembrano esaurirsi. Non una
persona sfortunata, ma una "sfortunata" gestione di un assessore e
della sua amministrazione che si è completamente dimenticata delle politiche
sociali, affondate da scelte che amplificano la desertificazione economica e
sociale della città di Livorno.

 

Rifugiatosi dietro lo
stereotipo ultimamente di moda per ogni tipo di morte sul territorio
livornese,"il problema riguarda soprattutto la situazione legata agli
stranieri", frase ad effetto valida per tutte le situazioni (dai bambini
rom morti nel rogo di Pian di Rota fino ai due ultimi delle Sughere),
l’assessore e il governo cittadino continuano a difendere la direzione del
carcere di Livorno.

Per la città il carcere
delle Sughere sembra non rappresentare un problema di ordine pubblico. Eppure è
il luogo istituzionale e geografico dove si verificano più morti annuali: altro
che via dei terrazzini o i quartieri periferici!

Situato geograficamente
accanto ai nuovi empori del consumo (Ipercoop, Castorama, Medusa…), il campo
di prigionia delle Sughere continua ad essere uno spettro della città. Eppure i
furgoni dei trasporti funebri ogni anno trasportano morti verso i cimiteri
d’orgine, e le ambulanze e i blindati della polizia penitenziaria fanno la
spola dagli ospedali alle celle. Ma per la direttrice delle Sughere è
"difficile prevenire": ci si appella allo stato psicologico del
detenuto per mascherare le assenze strutturali di programmi educativi e di
rinserimento.

L’Arci, uno dei pochi enti
associativi autorizzati e finanziati da logiche di spartizione territoriale
delle aree di intervento solidale, non ha mai promosso uno studio sulle
condizioni di vita quotidiane dei detenuti. Sappiamo chi sono i giocatori di
pallone che entrano 1 volta l’anno sul campo delle Sughere, sappiamo i titoli e
gli autori dei testi teatrali messi in scena, conosciamo i nomi di quei, pochi,
personaggi pubblici che ogni tanto si ricordano che esistano i condannati. Ma
non conosciamo le persone che il carcere lo fanno perchè ci muoiono o perchè
devono trovare formule alternative allo spaccio e al consumo di droga dei
cortili delle sezioni. Insomma, il carcere come palcoscenico di pietà o abuso
di potere istituzionale. In quest’assenza cronica d’informazioni, unita alla
gestione clientelare dei finanziamenti (pochi), ha creato le condizioni ideali
per far scomparire dalla mappa delle città un carcere che continua a produrre
morte e sofferenza.

Uno spettro insomma: il
fantasma del disastro annunciato. Nascosto dietro programmi di teatro, partite
di pallone e attività ludiche che a detta della direttrice responsabile del
record nazionale di morti, suicidi e autolesioni, "proiettano il carcere
verso l’esterno", le Sughere si confermano uno dei campi di prigionia più
duri del panorama penitenziario nazionale.

La città osserva silenziosa
quelle mura di pelle color rosa di vergogna. Gli associazionismi rattoppano le
miserie senza produrre strumenti di critica collettivi: sedano i conflitti per
cogestire il silenzio. La direttrice rimane al suo posto in cerca di un nuovo
record da superare. Le guardie penitenziarie e i loro comandanti rimangono
indenni dall’accusa di omicidio per evitare di sovraffollare il già
sovraffollato carcere di Livorno: oltre ad accorgersi dei cadaveri il giorno
dopo della loro morte che cosa possiamo chiedere a questi generosi tutori delle
leggi democratiche?

Risultato: i detenuti
muoiono! Come direbbe l’assessore alle Politiche Sociali "soprattutto
quelli stranieri". Particolare inutile che tra le varie inesattezze nega
le evidenze giudiziarie in quanto rimane ancora aperta l’indagine sulla morte di
Marcello Lonzi, livornese, morto come gli altri non livornesi, anche lui in
circostanze sospette, per tutti…ma non per loro.

18 settembre 2007

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