Pisa, 21-10-08. Sono le 15:30 quando, dopo una fastidiosa giornata di pioggia, decine di persone iniziano ad affluire alla Marzotto, dove si svolgerà il Senato accademico che vedrà la partecipazione di tutte le componenti universitarie. Al rettore Pasquali e agli altri senatori verrà proposto un documento unitario, redatto e sottoscritto da Assemblea del Polo Carmignani occupato, lista studentesca Sinistra per…, Coordinamento dei precari tecnico-amministrativi, Rete Nazionale Ricercatori Precari – Nodo di Pisa e Assemblea dei Dottorandi.
Nel documento, in estrema sintesi, si chiede al Senato di assumere una posizione chiara e netta rispetto alla mobilitazione di queste settimane, una posizione che si esplichi in azioni concrete. Mentre il Senato inizia, sotto le finestre dell’aula in cui si riunisce prende vita un ampio presidio, che raccoglie ben presto centinaia di persone intenzionate a manifestare la propria presenza di fronte ai vertici accademici, ancora decisamente titubanti di fronte ad un movimento che sembrano sostenere a parole ma non con i fatti.
Gli interventi sono spesso interrotti da notizie, non molto rassicuranti, provenienti dall’interno del sSnato accademico: i presidi sembrano bocciare con decisione, a turno, la proposta, formulata nel documento, di usare lo strumento delle dimissioni, e soprattutto sembrano più interessati a parlare dell’intervento di Pasquali alla trasmissione televisiva Otto e Mezzo che della mozione presentata. Il tempo passa lento per chi è in piedi da ore, ad attendere notizie frammentarie dalle aule in cui sono riuniti i vertici dell’Università. Verso le 18:00 però è ormai chiaro che il Senato non intende nemmeno discutere, entrando nel merito, il documento unitario presentatogli, e dunque tanto meno lo approverà.
All’interno del presidio nasce così l’idea di entrare nell’aula in cui la riunione si sta svolgendo, in modo da delegittimare un senato accademico incapace di garantire una forma di sostegno alle lotte chiara e concreta. Non è semplice tuttavia individuare il momento migliore per entrare. Viste le difficoltà di comunicazione tra chi è dentro e chi è fuori è infatti difficile capire esattamente cosa stia succedendo all’interno del senato. Verso le 19:30, il presidio decide comunque di iniziare a salire le rampe di scale che separano centinaia di persone che ormai da quattro ore sono in piedi a manifestare il proprio dissenso rispetto al tentativo di distruzione dell’università pubblica da una decina di professori che da quattro ore sono comodamente seduti a parlare di programmi televisivi.
Dopo un’altra, estenuante, mezz’ora di attesa di fronte alla porta dell’aula in cui il senato si sta svolgendo, i rappresentanti della protesta presenti all’interno comunicano che, come era da aspettarsi, la mozione presentata non è stata votata. A questo punto i partecipanti al presidio entrano nell’aula, peraltro ormai semideserta, in cui il senato accademico si svolge, e dà vita ad un’assemblea che inzialmente vede la partecipazione di un preside di facoltà e di qualche professore.
I rappresentanti della protesta che erano presenti al senato, descrivono finalmente come si è svolta la riunione: di fatto la mozione presentata non è stata neppure presa in considerazione, neanche limitatamente ad alcuni dei punti di cui era composta. Si è discusso spesso di altro, in modo generico e vago, e si è approvata una mozione che un professore ci tiene a leggere ai presenti: in essa si ribadisce, in modo sempre più vago e generico, la vicinanza dei vertici alla protesta studentesca, si parla di sostegno alle lotte, ma di concreto non si dice veramente niente. I professori spiegano che le dimissioni di presidi e rettore di Pisa sarebbero del tutto inefficaci se non fossero legate a quelle degli altri atenei italiani. Gli altri vertici accademici sono invece, secondo i professori presenti, fermi, se non schierati a sostegno del ministro Gelmini.
Ciò che emerge è chiaro: i vertici dell’Ateneo pisano, che si dichiarano solidali con la protesta delle ultime settimane, non hanno il coraggio e la volontà di fare il passo che li porterebbe davvero a fianco degli studenti, dei ricercatori precari e del personale tecnico amministrativo. Preferiscono parlare – tra l’altro poco – e lasciare ad altri, le categorie più deboli e fragili, l’onere di prendere decisioni chiare e spesso rischiose, l’onere di agire.
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